Il Guardian lo ha definito come una versione funk di Ariel Pink, ma si può pensarlo come una sorta di Beck dalle spiccate tendenze R&B, proveniente da un lontano e distorto futuro.
La Bella Union, grande scopritrice di talenti, ci ha scommesso sin dalla recente uscita del suo EP Those Who Can’t Chat. In quella occasione noi di Freak Out avevamo detto di lui che “tutto è stravolto e disturbato da un’elettronica che punta in realtà a fare noise, rumore di disturbo, che non aiuta il godimento dei pezzi. Aspettare l’album a questo punto è d’obbligo, ma qualche svolta bisogna darsela”. Ebbene una svolta c’è, e d’altra parte era da attendersela visto che parliamo adesso del primo vero disco. Che, nelle manie di grandezza e voglia di stupire del nostro Clarence, è già un doppio, decisamente eccessivo album di ben 20 pezzi. Vi compaiono appunto il primo singolo citato, e Off my Grid, già conosciute nell’EP, e una miriade di nuove tracks tra le quali è doveroso distinguere almeno tre gruppi: autentici e puri rumori, creati al computer, che puntano a stupire e forse a scioccare, ma alla fine disturbano e risultano puri riempitivi, giochi intellettuali senza anima e senza alcuna costruzione (Hit Factory Of Sadness, Off My Grid, Tathāgatagarbha, With No Fear, No Now).
Tentativi di canzone costruita, con tanto di cantato melodico (Clarence quando fa sentire la sua voce, come per esempio in Cancer in the Water o Let’s Shoot Up dimostra un timbro interpretativo assolutamente non comune) sorretto da effetti, talora eccessivamente roboanti e disturbanti, che alla fine non aiutano il pezzo ad emergere, come Alive In The Septic Tank, Become Death, Porn Mountain, One Hand Washes The Other, The Gospel Truth, Now I Am.
Canzoni compiute, che per quanto “truccate” in tutti i modi possibili con effetti, noises, e quant’altro venga in mente al troppo creativo autore, risultano avere un capo e una coda e ad essere anche sufficientemente melodiche da essere inquadrabili in un genere, che in questo caso potrebbe essere l’R&B, per quanto lontano dagli esempi tipici di stile: rientrano in questo gruppo pezzi come Bloodbarf, The Cute, Meadow Hopping, Traffic Stopping, Death Splash, Will to Believe, 1-800-WORSHIP, che alla fine risultano le cose migliori del disco, assieme al pezzo cantato e composto con Kill J, Buck-Toothed Particle Smashers.
Nella roboante e provocatoria retorica del megalomane Clarence, secondo le sue dichiarazioni quest’album è “un promemoria costante dell’infinita flessibilità di un assurdo universo. Quest’album è l’esorcismo di ogni cosa che abbia sin qui imparato. Tutto mi ha abbandonato – nessuna condizione umana rimasta da dare. E’ l’album che dovevo fare. E ora posso sbocciare sgraziatamente, creatore e distruttore dei miei propri mondi”.
Certo, non si discute la creativià, la voglia di far esplodere effetti e esperimenti, non si discute la prolificità e anche una certa genialità a immaginare sovrapposizioni di suoni e disturbi, e a realizzarli su incisione, cosa che avrà richiesto un lavoro incredibile in post-produzione.
Ma francamente siamo ben al di qua del fenomeno universale che Clarence crede di avere nelle mani, e siamo al di qua della creazione e distruzione di mondi: il giovane autore ha trovato la strada della serietà professionale (nell’EP dava l’idea di giocare con tastiere, sintonizzatori e computer, senza voler avere chiare idee) e di una propria marca personale, senza dubbio, ma i pezzi, spogliati dei tantissimi effetti speciali e dei barocchismi, restano alla fine, nella loro struttura essenziale, R&B e soul.
Forse semplicità, minimalismo e essenzialità non farebbero male a questo giovane e pretenzioso esordiente.
autore: Francesco Postiglione