Quello che lascia addosso questo Urban Box dei bolognesi Nuju è una “dosata malinconia” che lascia felici e contenti, una cavalcante agrezza cantautorale che induce ad un ascolto delle narrazioni contenute in maniera cristallina e posata, mai un urlo strozzato o una distorsione fuori riga, tutto nella completezza di un disco altamente sapiente e lucido di quello che va a presentare.
Quello che si dice in giro circa l’urban-folk-rock – Prigioniero, Mondo di plastica – che circola nella stilistica estetica della band è vero, un insieme di suggestioni, sciorinamenti ska (Mi sono perso), stimolazioni in levare Luna piena, mediterraneità gocciolante (Regalami), e quell’ossessione solare di colpire al primo colpo l’ascoltatore, cosa che viene facile e naturale a questi poeti urbani in bilico tra il convincente e un diorama caldo e a presa rapida; tutto vero e a portata d’orecchio per chi vuole da un disco non solo soluzioni ritmiche e sonanti, ma pure essere investito da quelle modulazioni elettive di un suono che trasmette e non sollazza a stretto giro nell’orecchiabilità, e in questo i Nuju eccellono con loro semplicità “guitta e raccounteurs” vissuta e piazzaiola come poche.
Chiude bottega la ballata Monociclo rosso, quattro minuti e quarantacinque secondi di cuore strizzato per chi in fondo – riferito a loro, i Nuju – vince sullo sterminato stuolo di artisti emergenti grazie alla freschezza della loro propria anima prestata al suono e ai respiri della bella musica.
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autore: Max Sannella