Americano sin nelle radici delle ossa, nato a Louisville, cresciuto in Georgia, studente in Michigan e attualmente girovago fra California e New York, Jib Kidder (vero nome Sean Schuster-Craig) è all’esordio col suo primo long-play Teaspoon to the Ocean (è uscito qualche tempo fa l’EP “IV”), ma non è agli inizi della sua carriera di artista. Tra murales, video, sculture e quadri digitali, Kidder è alla ricerca della “summa psichedelica” a cui affidare il suo desiderio di rappresentare l’esperienza onirica del sogno.
C’è dunque una ricerca dell’avanguardia, dello sperimentalismo, della psichedelia, in cui, fra le varie influenze regionali del continente americano, la più accentuata è quella newyorkese, se è vero che canzoni come In Between e Appetites ricordano da vicino la ricerca musicale dei Velvet Underground, mentre Melt Me e Underground sembrano un tentativo di rivisitare i Grateful Dead alla luce dell’elettronica moderna.
Più direttamente sperimentali, meno pop e più acide, sono Remove a Tooth, Illustration e Situations in Love, dove effettivamente elettronica e psichedelia la fanno da padroni.
Ma il vero timbro artistico di Kidder sembra essere l’uso assolutamente originale della voce, distorta, elettronizzata, ovattata, e soprattutto dilatata, a rafforzare ancor di più l’idea onirica.
Persino le liriche seguono questa dilatazione dello spazio metrico della voce, dando l’effetto a ogni canzone di cantilena ammaliante e inquietante.
Aiutato in questo dalla voce femminile di contrasto di Julia Holter in Appetites e Illustration, e dal piano elettrico di Zach Phillips, il risultato è sicuramente affascinante e originale, ma ha il difetto di essere un po’ troppo ostentato, ripetuto, ossessivamente cercato. A lungo andare potrebbe diventare stucchevole, quindi per le prossime uscite è meglio sperare in altre innovazioni.
Per ora, gustiamoci un piacevole tuffo nella New York acida degli anni ’60, in una sua versione post-moderna e straniata.
autore: Francesco Postiglione