Basta guardare la copertina del disco: potrebbe essere un vinile degli anni ’70, e nessuno si accorgerebbe della differenza. Se poi lo ascoltate, la percezione è identica. Curtis Harding è proprio schizzato fuori dalla black music anni ’70, scrive e dice cose anni ’70, e soprattutto fa soul e black music anni ’70. Non gliene frega nulla, insomma, se gli anni ’70 si portavano quaranta anni fa.
Persino il nome, che è il suo nome vero, ci riconduce alle origini della black music, a Curtis Mayfield e la sua People Get Ready.
Per la verità, nella sua musica, senti qualcosa della lezione di Outkast e Cee Lo Green, ma per il resto è tutto un trarre ispirazione dai classici, Ronnie Dyson, Marvin Gaye, Lee Moses, Everly Brothers, Bo Diddley, BB King, e tanto tanto altro, ma sempre rigorosamente all’interno della famiglia black.
Lontanissimo dalle contaminazioni di Lenny Kravitz, il suo è un soul puro e pulito, come in Next Time, pieno di fiati e organo, o in Castaway, o nel primo singolo Keep on Shining.
Arrivano poi i pezzi “impegnati”: Freedom e The Drive, storia di un viaggio nella terra natale Georgia, tanto razzista negli anni ’70: «Sono un uomo nero e parlo di lotta: noi abbiamo sempre lottato». Persino nelle dichiarazioni, Curtis sembra essersi dimenticato che sono passati quarant’anni, e che c’è un presidente di colore a governare il suo paese.
Non sembri una critica: stiamo descrivendo solo uno stato di cose. Uno stato di fatti che peraltro produce musica deliziosa, proprio per quel suo contatto atemporale con i classici di un altro tempo: basta sentire la ritmatissima Surf per rendersene conto.
L’operazione di Curtis non è dunque nostalgica: è al contrario rivitalizzante, è come gridare che la black music non è mai morta, che è ancora qui, che può produrre ancora pezzi di livello altissimo, come Heaven’s on the other side, o Drive my car, o I don’t Wanna go Home. La sequenza è inarrestabile, ed è lunga quanto i dodici pezzi dell’album.
La Burger Records ci ha azzeccato davvero, a dare fiducia a questo ragazzo nato nel Michigan, trasferitosi in Georgia, nero nella pelle come nell’anima, che ha fatto del soul la sua intransigente bandiera di battaglia.
A proposito, questo splendido disco d’esordio si chiama Soul Power: c’è bisogno di aggiungere altro?
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autore: Francesco Postiglione