Candidato come miglior film straniero agli Oscar (ma solo il 15 gennaio sarà nominata la cinquina in concorso), la terza prova registica dell’argentino Damian Szifron è cinema allo stato puro, un tuffo nelle passioni più estreme dove ad imperare è una visione grottesca ed esagerata delle cose.
Immaginate di essere su un aeroplano e di ritrovarvi, come spesso succede, accalappiati dal primo o dalla prima sconosciuta del caso con una scusa banale. Immaginate di finire, come spesso accade, con lo scovare una conoscenza in comune, un amico o un’amica, un amore finito, e di trovarvi così nell’imbarazzo di parlare di costui o di costei, magari non proprio in maniera positiva e di scoprire, sempre per caso, di non essere l’unico o l’unica all’interno dell’aereo a conoscere il/la protagonista della vostra apparentemente futile conversazione.
Immaginate di venire così a conoscenza del fatto che tutti i passeggeri del vostro volo, senza esclusione alcuna, abbiano avuto rapporti col soggetto in questione e che l’esperienza di ciascuno di questi non sia stata necessariamente positiva. Immaginate, infine, di venire informati da una spaventatissima hostess che il pilota dell’aereo in questione (su cui inspiegabilmente vi ritrovate tutti) è guarda caso un omonimo della suddetta persona. E ora già che ci siete, provate ad immaginare anche come andrà a finire.
In un crescendo che non perde mai di tono e che, anzi, si innalza sempre più maestosamente, l’argentino Damien Szifron con le sue Storie Pazzesche ha realizzato un preziosissimo compendio sull’essenza del racconto cinematografico, uno spettacolare bignami in sei puntate dalla perfezione narrativa, maestria registica, equilibrio ritmico, sapienza interpretativa. Verrebbe da dire un vero e proprio capolavoro in grado di lasciare lo spettatore a bocca aperta, in un’apnea lunga 122 minuti, con le sue storie dalla verosomiglianza disarmante (e non è proprio questa l’essenza della potenza cinematografica?), sorrette da un umorismo nero, e dal carattere profondamente grottesco.
Interpretati da un cast di attori di primo piano, ciascuno degli episodi che compongono il film, di durata crescente, racconta di vicende assurde in cui è la brutalità a farla da padrone, in una volontà di rivalsa, talvolta celata, talvolta subita, talaltra scatenata, che viene di volta in volta catarticamente detonata. Per l’esagerazione dei toni verrebbe da pensare immediatamente al Tarantino di Kill Bill o di Grindhouse – A prova di morte. Ma nessun pericolo non si è di fronte ad alcuna spiccia emulazione ma piuttosto ad estro puro capace di stregare anche Pedro Almodovar e la sua casa di produzione El deseo. Il film, che aveva già fatto parlare di sé durante l’ultima edizione del festival di Cannes, è ora nella rosa dei nomi da cui saranno selezionati i cinque titoli in concorso per l’Oscar 2015 per il miglior film straniero.
Senza perdere di un passo la volontà di divertire all’estremo il pubblico, Szifron riesce a rendere le sue risate amare senza però mai adombrare il piacere estremo regalato al pubblico: le sue Storie Pazzesche riescono così a regalare un godimento puro e liberatorio senza però mascherare una capacità dalla precisione chirurgica di raccontare e allo stesso modo criticare la società moderna, svelandone le distorsioni, il cinismo, la brutalità, la disumanità che ne regolano i rapporti e le vicende.
Alla sua terza prova il regista Szifron conferma di avere una predilizione per il racconto a puntate: nella sua terra d’origine, l’Argentina, il giovane cineasta – classe ’75 – è noto per il lavoro da autore nella serie Los Simuladores e come sceneggiatore e regista del serial televisivo Hermanos & detectives.
Prodotto dalla El Deseo di Pedro Almodovar il film si è rivelato un piccolo caso al box office alimentato dal passaparola degli spettatori.
autore: Michela Aprea