Accantonato da tempo lo spoglio stile new folk acustico voce e chitarra che negli anni zero ha imperversato, e del quale Bonnie ‘Prince’ Billy è stato protagonista ed iniziatore già dal decennio precedente con i suoi dischi seminali a nome Palace Brothers, Palace, Palace Songs e Will Oldham, salvo raccogliere tutto sommato anche qualcosa in meno in termini di riconoscimento rispetto a colleghi sicuramente talentuosi ma spesso piuttosto derivativi, come Devendra Banhart, ecco che il barbuto quarantaquattrenne cantautore di Louisville ha iniziato a sfornare una serie di lavori folk ancor più tradizionali col supporto regolare stavolta di una band elettroacustica di chiara ispirazione country folk seventies in cui un valore aggiunto è in ogni caso, sempre e comunque, la scrittura cristallina ed il calore vocale di Bonnie Prince Billy.
Sembra poter fare ciò che vuole con il country ed il folk, Billy, centrando sempre il bersaglio, ed infatti nella sua discografia non vi sono punti deboli collocandolo tra i nomi fondamentali del folk contemporaneo pur essendo il suo linguaggio musicale ormai estremamente conservatore, e tuttavia Singer’s Grave a Sea of Tongues non dà l’idea della pura celebrazione di un genere, utilizzando tutti gli standard di un certo linguaggio ma per veicolare la qualità del contenuto ed un’emozione sincera.
Il disco addirittura è la rivisitazione di gran parte della scaletta di un precedente e neanche remoto lavoro dello stesso Billy intitolato Wolfroy Goes to Town, celebratissimo disco bucolico del 2011 dalla copertina rosa, con qualche brano nuovo di zecca in aggiunta, ma il tutto stavolta ben più riccamente arrangiato col gruppo country folk elettroacustico e con un prezioso coro gospel femminile che nei ritornelli dona tanta qualità ed intensità, ed ‘Old Mach‘ è emblematica in proposito, ricca di armonia e trascinante enfasi country soul, un po’ sulla falsariga dei vecchi Neil Diamond, Jackson Browne o Neil Young. La slide guitar ricama assoli nella signorile e crepuscolare ‘Night Noises‘, e nella cashiana ‘There will Be Spring‘, il violino contrappunta l’acustica e l’elettrica in ‘Quail and Dumplings‘, singolo dall’assurdo ed un po’ imbarazzante videoclip, mentre dietro la cazzuta ‘So Far and here we Are‘ si nasconde la rivisitazione di ‘New Whaling‘ del 2011, che affronta il classico ed immortale tema del country folk della ballata criminale.
‘Whipped‘ e ‘Mindlessness‘ avrebbero potuto occupare due posti rispettabili nella scaletta di un disco dei Buffalo Springfield col loro orgoglio di frontiera, ma la bellezza di questo disco sta anche in momenti meno appariscenti, come l’indolente ‘New Black Rich‘, in cui Billy mette il cuore, ed una esecuzione limpida, cristallina, supportato da un gruppo folk di grande statura, o in ‘Sailor’s Grave, a Sea of Sheep‘, in cui è il pianoforte ad accompagnare il brano con la voce del cantante.
Mentre l’altro grande folksinger barbuto contemporaneo, Iron & Wine, si è rigenerato recentemente nel soul – comunque dal forte taglio seventies – con lo splendido disco intitolato Ghost on Ghost (2013), Bonnie Prince Billy rimane con due piedi nel seminato folk, parlando un linguaggio che gli appartiene profondamente con un disco molto riuscito, che sembra non non sia preso molto in considerazione in questa fine del 2014 nelle classifiche dei migliori dischi del 2014, forse perché la maggior parte dei brani sono rivisitati. Ma alla grande!
autore: Fausto Turi