Due bassi, due chitarre, due percussioni, due batterie e un synth possono veramente dare e fare tanto, possono – anche dove oramai vige tanta disonestà intellettuale – transennare un tempo, il tempo per non fargli mai toccare il fondo se non per espletare il suo personale motus. Geografia di un corpo è il nuovo “presagio” sonico dei Santo Barbaro, grandi anfitrioni di un calembour di post-punk, post-rock e fibrillazioni contagiose che si intromettono sottopelle – durante il loro passaggio – come un male benevolo color pece, un disco in cui digressioni melodiche e crudezze effettate sono il dna anemico ed emaciato di un ascolto qualitativamente d’avanguardia.
Nella sintesi d’intento del disco, il corpo come scafandro e castrazione della mente, scrigno e galera delle mentalità aperte o a pertugio, moti sonici che griffano una tracklist oscura, contemporanea a fisica che si ascolta d’urgenza e sollievo, una poetica “off” che non ha percorsi obbligati se non la verticalità (in su e giù) dell’ispirazione; note e citazioni cinematiche e letterarie sono la parte lirica del registrato, che in undici tracce formano un viatico sofferto e contemplativo, un disco “impegnato” con quel divino sensoriale alla Ferretti dei Csi, Joy Division e tutta una visuale “aliena” di brume, depressioni e rivolte elettriche che innalzano lo spirito d’ascolto a vette speciali, a voli senza ritorno.
I Santo Barbaro sono una di quelle espressioni “altre” rare, una di quelle specialità autentiche del significato “finalmente fuori rotta” che inorgogliscono – una volta tanto – l’underground nostrano, il loro vaglio stilistico non conosce la postura o la tentazione della pretesa, piuttosto una sperimentazione ”meditativa” che non ha uguali, come del resto le unicità senza analogie che il mantrico giro di Pavlov, la sospensione fumante che ingloba Zolfo, la tribalità avanguardistica Ora il presente o il cantos sciamanico che piena Tra gli alberi, decidono di rappresentare a nome di tutto il resto.
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autore: Max Sannella