Potete chiamarla folktronica da camera, post-dubstep, avant r&b o come meglio credete, fatto sta che The Acid han realizzato un album che si presta esattamente alla definizione di ‘moderno contemporaneo’. E si sa che quando si è in cima poi non si può che scendere o cadere, ma lungi da me dal voler portare sfiga ai The Acid, direi di goderceli fintanto che ci sono.
Quest’idea di instabilità ci è suggerita innanzitutto dalla formazione: RY X, Adam Freeland e Steve Nalepa cioè una voce più chitarra, un dj che ha remixato tante cose dell’indie-rock più mainstream (che ossimoro, vero?) ed è conosciuto tra gli amanti del dancefloor più intransigente (se la parolina Fabric non vi dice nulla lasciate perdere..) ed uno smanettone di programmi di editing digitale sia audio che visual.
Il pregio più grande di Liminal è che ingaggia una nuova audience troppo formale per cose alla Burial ma troppo poco per quelle alla James Blake, che ama il Thom Yorke più spiritato tanto quanto l’effimero intrinseco ben costruito degli Alt-J e che non cambia canale quando videoclip in heavy rotation mostrano il lato più rotondo e levigato dell’errebì.
L’adesione totale al dresscode minimalista è un obbligo dal quale non si può prescindere e tutto sommato se questo serve a portare il soul side fuori dagli schemi commerciali della niggaz tamarra per avvicinarli a quelli musicalmente superiori dello stesso splendido colore (Ghostpoet più che l’ultimo deludente Burial), possiamo dire che è un bene.
Mettete su i The Acid per spacciare ectoplasmi in musica e basse frequenze in ambienti dove normalmente non vi sarebbe consentito e farete anche un figurone perché vi diranno che siete troppo hype; poi godetevi il momento che passa fugace, che del doman non c’è certezza.
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autore: A. Giulio Magliulo