Dopo una lunga assenza discografica durata 6 anni tornano i Death Vessel di Joel Thibodeau, musicista di nascita tedesca trapiantato già da ragazzino negli Stati Uniti, e lo fanno con un terzo disco in carriera – il secondo su Sub Pop – che mostra alcune novità rispetto al passato soprattutto in termini di maturazione artistica, piuttosto che di vero e proprio cambio di direzione. Se infatti siamo tutto sommato ancora in ambito folk alternativo e psichedelico, con la particolare angelica voce prossima al soprano di Thibodeau, che sembra un falsetto ma non lo è, ad intonare esili, suggestive arie folk prevalentemente acustiche condizionate però ancor più che in passato da surreali trovate pop digitali – formidabile al riguardo il brano intitolato ‘Velvet Antlers‘, giocato su percurssioni ovattate, tastiere, basso, nonchè la giocosa ‘Mercury Dime‘, un po’ nello stile della Danielson Famile – sia nelle traiettorie che nella strumentazione scelta, ecco che rispetto al precedente disco intitolato Nothing is Precious enough for Us di cui ci occupammo a suo tempo qui lo stile sonoro lo-fi d’un tempo, a volte un po’ grossolano come dettava la moda dell’epoca non c’è più, sostituito da una nuova delicatezza delle musiche, arrangiamenti ricchi di armonia giocattolo soffusa, cori e controcanti come nella bella ‘Ejecta‘, minimalismo poggiato su liquidi suoni digitali come in ‘Triangulated Heart‘, filastrocca praticamente miagolata, da Thibodeau, e poi modernità, innocenza ed eleganza che ben si sposano con la voce del cantante e che trovano origine anche nella decisiva collaborazione all’intero disco di Jónsi e di Alex Somers, rispettivamente cantante e produttore degli islandesi Sigur Ròs, e nel dittico ‘Ilsa Drown‘ e ‘Island Vapors‘, molto nello stile digitale, mentale, algido e paesaggistico dei Sigur Ròs, ciò emerge chiaramente.
Anche rispetto ai testi dei brani, che rimangono incentrati sulla ricerca dell’armonia interiore, del contatto con la natura e con mondi incantati e rapporti interpersonali più innocenti e veri, è chiaro un affinamento della scrittura ed il riferimento ad un modello paesaggistico nordeuropeo e glaciale. Dunque non male questa coniugazione americana dello stile Sigur Ròs!
È tuttavia nell’ultima parte del disco che qualcosina scricchiola un po’, sia per un paio di brani di poco spessore seppure piacevoli e truccati con arrangiamenti rafinati – ‘We Agreed‘ e ‘Loom‘ – e magari per una certa stucchevolezza della voce di Joel Thibodeau, che magari alla lunga finisce per stancare.
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autore: Fausto Turi