Con Ben Harper si va sempre sul sicuro, ancora un diamante acustico che non conosce fine, ma questa volta suonato con sua madre Ellen, Childhood Home, una prorompente dolcezza di folk languido steso su ballate da lacrima intrecciate alle radici della profonda America rurale, polveri, sterrati, stelle da inquadrare e lune da amare, tutta quella prosopopea da profonda b-side land che in dieci brani ti mette in caldo l’anima e lo spirito come un unguento benefico.
Madre e figlio uniti per sangue, pelle, orgoglio e amore a pari passo con slide, walzer, estensioni field e tutta una infanzia da ricordare, da rimettere in moto tra i ricordi appannati e pieghe da raddrizzare. In pratica tutto quello che l’artista Harper per anni non ha mai mostrato nelle sue parole, preferendo nella sua carriera fulminante il contatto diretto e l’esplosione del suoi suoni chitarristici, ma ora si spoglia di tutto, si mette a nudo e si racconta – con chi l’ha messo al mondo – come un figlio qualunque che condivide con tutti gioie e amarezze al cospetto di una vita che fa domande.
C’è tutto il suo “ieri” in questa tracklist, le chitarre, il suo banjo, i duetti in controvoce e poi le santità primarie che lo hanno svezzato Taj Mahal, Ry Cooder – per fare qualche esempio- e tutto ristretto in una intimità spiazzante, una carezza sonora continua; facendo attenzione alle infingarde velleità della gravità terrestre, l’ascolto prende il largo e l’alto nelle storie del tempo Heavyharted world, Farmer’s daughter, tra i meandri di un ritorno da un viaggio sconfinato A house is a home o in un atterraggio tra nuvole di bambagia Learn it all again tomorrow, poi instaurata la confidenza necessaria quando si è innanzi all’ennesimo capolavoro di questo poeta meticcio, il brivido di tutto il resto vi piegherà in due.
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autore: Max Sannella