Fine del retropensiero per cui ogni volta che ascoltiamo un giro di synth o una voce effettata diciamo che siamo al solito revival ’80. Finalmente. Forse.
Anche stavolta i Liars abbondano di riferimenti a quella decade, ma essi sono talmente trasfigurati e contaminati che immaginare un disco così negli ottanta è da stolti e acritici caproni.
Mess, settimo album del trio newyorkese, sembra prenderci per il collo e metterci spalle al muro fin dall’inizio e questo accade perché la natura dei Liars contesa tra oscuro sperimentalismo e tensione dance-punk viene qui assecondata senza tema.
Mask Maker vuole continuare proprio quel discorso dance interrotto da chi dagli anni ’80 pretendeva solo serietà e rigore. Ti aspetti un Malcom McLaren che da un momento all’altro spunti fuori e cominci ad urlarti nelle orecchie ‘Buffalo gals go around the outside..’round the outside, ‘round the outside..‘. O i Tom Tom Club.
Eggià. Questa storia del funk bianco, nervoso e contorto è nata proprio per dire che quell’epoca non è stata tutta sempre e solo Joy Division ma nonostante ciò la provocazione dei Liars non si configura mai come sberleffo sorridente. Prendete Vox Tuned D.E.D. e scoprirete agevolmente che quei fondali grigi su cui si stagliano le nere silhouettes dei Liars son stati disegnati da personaggi come Gary Numan più che da altri illustri e celebri protagonisti del periodo. Più tensione estetica post-post-glam (si, due volte rende meglio l’idea) che invito al suicidio insomma.
I’m No Gold distorce e liquefà il suo riff synthetico e rubando campioni di IDM ’90 e contrappuntando di vocine transgender manda definitivamente i Depeche Mode all’inferno.
Ti mettono alla prova i Liars. Ti sfidano. Con Pro Anti Anti testano la tua capacità di interpretazione e quando pensi ormai di esserci, sfoderano bordoni novantiani che rimettono il tutto in discussione.
Can’t Hear Well: come prendere per il culo Interpol e Franz Ferdinand rubando le loro idee migliori e anticipando il disco futuro dei These New Puritans.
Mess On A Mission: una dichiarazione di intenti, di fratellanza con bands altrettanto trasversali come LCD Soundsystem e !!! ma anche di proclami impliciti del tipo ‘gli anni ottanta e novanta non tornano più ma di questo non frega un cazzo a nessuno perché quando poi escono hit-singles alla Klaxons o alla Hot Chip la vostra patente di spiriti indie va a farsi benedire, avete mosso il culo, vi abbiam visti’.
Meglio guardare avanti. Un altro piccolo passo (piccolo… ma quanto ci costò allora vendere decenni di ideologia post-industrial per un laptop?) e si è nel cuore al silicio dei duemila, Bit and Click e IDM, i cunicoli mentali degli Autechre al servizio del dancefloor: Darkslide ci ricorda quel trauma e quelle fratture e Boyzone le lenisce, utilizzando la stessa chimica.
La chiusura a suo modo pastorale e narcotica di Left Speaker Blown, ondeggia tra drones ed oscillazioni melodiche rarefatte e conferma una natura oscura ed instabile che non lascia scommettere sul futuro e non lascia intravedere una strada certa. I Liars sono ‘bugiardi’ e quindi non ci si può fidare, ma seguirli è un piacere.
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autore: A.Giulio Magliulo