Additati dai più come la band più interessante del circondario inglese last minute, il quartetto dei Temples arrivano al debutto ufficiale con Sun Structures, una linea diretta con gli anni Sessanta umidi di acido lisergico, una dozzina di brani che prendono in prestito gli strass ed i lustrini dei T.Rex di Bolan e le agrumate visioni dei Byrds per farne melodie e ritornelli capaci di ronzare per ore in testa come un pensiero d’amore ossessivo.
Nessun tentativo di sviluppare novità o avanguardie musicali, solamente una solenne perlustrazione che – nonostante si senta forte odore di Tame Impala – escogita soluzioni già d’appannaggio di quell’era floreale, fregandosene di mode o dettami preferendo rimanere coi piedi e il cervello in alto, tra le nuvole della mitologia beatnik.
Tastiere con Leslie, cori allampanati, chitarre beat e pupille dilatate per un disco romantico e caleidoscopico, con sospiri indù e ipnotismi beat che si rincorrono senza mai sopraffarsi, un flusso “educato” che si fa effervescente nella scorribanda adulterata di Shelter song e della titletrack, nei ritmi folkly Keep in the dark, in seno alla pastorale introspettiva Colours to life e Test of time fino a quel bolerino elettrico finale che ingloba Sand dance, diamantino messo in chiusura come una fibbia di garanzia anche se con tutta onestà, non c’è né davvero bisogno.
Semplicemente good, profumatamente cool!
autore: Max Sannella