Sulla porta dei Sessanta, quelli fradici di acidi, jack e profumi al Vetiver, allucinazioni collettive, Ganesh di ieri e Ty Segall di oggi, ecco affacciarsi i vicentini Sultan Bathery, trio “affumicato” da energetiche spruzzate mid-garage e fautori di capriole mentali degne del punky fuori orbita di stampo Cole Alexander.
Il loro è un esordio omonimo di gran sfolgorio, alambicchi straboccanti di suoni e colori che lievitano facendo “bel” casino incondizionato, un’esplosione perfetta che nel giro di dodici tracce detona e lascia schiaffeggiati di goduria.
Dunque India Mirror, pedaliere impazzite Spring of youth e “misticumi” da postribolo in una delle macchine soniche più schizzate che la scena underground di casa abbia partorito in questi ultimi frangenti, un trio talentuoso e fuori binario che addensa riff e voci dentro una surreale irriverenza svenata, quell’idea musicale con il senso dell’invettiva e della stralunatezza Detroitiana. Pubblicato dall’americana Sloveny Recordings, il disco è un indole che concilia (eufemismo) necessità, senso dell’urgenza e flow coinvolgenti che oggi di direbbero “coolness”, tracce che arrivano furibonde di ritmi e ripartono con ancora gas sonoro in canna, quando tutt’intorno è un surriscaldamento accelerato degno dei vecchi 45 giri beat che girando diffondevano sogni e ribellione a go go Satellite.
Echi, riverberi, fuzz, inneschi fanno tutto il resto, concorrono al torrenziale potere elettrico che i Sultan Bathery immettono negli orecchi, le intemperanze garagistiche di Flower of evil, o le schitarrate disadattate che tremolano in Talk with you sono l’emblema di un prodotto discografico altamente corrosivo, un disco underground più ricco di altre mille sfumature di quanto ci faccia comodo credere. Fateci un giretto dentro – anche con la benedizione di certi Jesus & Mary Chains – e non scenderete giù per un bel pezzo.
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