E la dico pure io la mia su un album che, diciamocelo tutti col rischio di parlarci come sempre addosso, è già – ma non siamo neanche in Primavera!? – album dell’anno. Neneh Cherry non inventa alcunché di nuovo, solo canta vivisezionando gli scatti e gestendo con parsimonia un suo bagaglio di tempo. Molto fa invece Kieran Hebden aka Four Tet, il divino folktronico calato nel suo studio a Woodstock dove Blank Project, ultima fatica della cantante svedese, è nato in meno di una settimana. Donna d’altri tempi Neneh, sentitela un po’ mentre parla di questi 18 anni lontana, o quasi, dalla musica che l’ha resa quella che è “in tutto questo tempo ogni tanto provavo a registrare qualcosa, ma quando riascoltavo quello che avevo fatto non lo sentivo completamente mio. A un certo punto però mi è cresciuto un desiderio forte, una smania, un prurito di fare e ho capito che era il momento. Stavolta è diverso. Ora mi sento dentro a queste canzoni: incarnano la mia vita e dove oggi sono”. Di portamento edulcorato in questo vuoto non ce n’è, parliamo di uno slang: la scelta artistica ruota, grazie alla voluta – mano di Four Tet – Londra sonora del duo Rocketnumbernine, su formule basiche, scarni beat e dosaggio di groove, effetti abrasivi di fuzz obliquo – come frutto di un’innata diagonale – che collocano un timing da bass culture a corona di un tessuto di mezze tinte in cui quel prurito di fare, per riprendere l’autrice, sottende i voicing, gli acuti in estensione a cappella, i momenti intensi.
Il cantato si distanzia dal determinismo del passato e prova a reggere il garage hi-fi, un’alba recondita che vuole lasciare un’impronta. I due dischetti con i Cirkus e il penultimo, forse il più determinante sulle dinamiche attuali, dei The Thing di Matt Gustaffson sono, a ragion veduta e in presenza di pochi dettagli ulteriori, i motivi che hanno indotto la cantante a riprendere in mano la tavolozza. La sua voce è l’elemento propulsivo di Blank Project o meditazione di un secolo che un po’ l’ha dimenticata o in cui s’è fatta dimenticare. Sono lontani i bellicosi giorni post punk con il bristol sound a insonorizzare i club del mondo ed è lontano il downtempo di una generazione rassegnata. È lontano il rap e certa black in cui sguazzò in adolescenza. In questa vivisezione Neneh Cherry reinclude una parabola forse famigliare o forse no, rendendo persino acuto il passato e contemporaneo un avviso che lavora ad induzione. Futuro roseo.
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autore: Christian Panzano