Potrebbe trattarsi di provincialistico tedio domenicale, jaunts cinematici su pianali post rock, ma la definizione appaga poco. Parliamo di sette iati interposti fra non si sa bene cosa. Il primo indaga la storia con partigiano fomento – dà il nome all’intero lavoro – grazie al coro degli alpini di Milano, il secondo è angustia alla Death in June, sorretto da forti pads, pitch bruit soffocati, aggrovigliati al canto beefheartiano di Roberto Bertacchini e alla distopica chitarra di Xabier Iriondo. È Africa addio.
Nel terzo episodio ci si scaglia big beat e cantautorale – come se Moby incontrasse De Andrè – contro le pareti del synth, è Saronno, con voce di Alessandro Camilletti degli Psycho Kinder. Dedicata al poeta Simone Cattaneo, morto suicida nel 2009, Saronno è la giuntura che inonda la distopia e prende stranamente colore.
Il quarto episodio, La caccia, è una sagoma curvata su un cono d’ombra e sembra slittare oltre il canto di Stefano Ghittoni. Per farla breve è l’ultima confessione di Fabrizio Testa. Visto dall’ottica di chi ha lodato Mastice esatti dodici mesi fa, consiglio l’amplesso di un brano come Uccidere in cui le ipnosi gemmano lisergici zeuhl. Ne consegue l’idea di fine a curatela dei mali, la drammedia della maschera sordiana tagliuzzata da Il vedovo che accarezza la seconda voce di Amy Denio. Il tutto quasi sempre risolto nella bruna forma lirica di Fabrizio.
Terreno K cita l’Avati di Zeder, uno stargate esistenziale in cui ci si perde nel sogno. Il giocattolo si riallaccia al film omonimo di Montaldo, è un dramma che, per tramite di Federico Ciappini alla voce, coglie le isterie del nostro tempo in cui la pazzia diventa sociale.
Ora c’è da domandarsi se in questo album, dal packaging come sempre inconsueto, le tracce siano a colori, come i sogni di Sordi, o in bianco e nero; in quale iato ognuno di noi può trovare una storia apparentata dove potersi riparare rannicchiato in caso di pioggia.
Sono tutte domande collegate fra loro. L’autore romagnolo prova a dare una risposta a tutto ciò o quanto meno prova a descrivere un’agonia vivente su una tela ricca di paradossi e il risultato è di oscura seduzione.
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autore: Christian Panzano