O si odia o si ama. Nessuna via di mezzo per Le Luci. Chiunque sia stato un minimo attento all’evoluzione, ai cambiamenti e al flusso della musica indipendente italiana dell’ultimo decennio circa, si è trovato, giocoforza, a chiedersi da che parte stare. La delicata forza poetica (nel significato ancestrale di “poïesis”, del creare) nel raffigurare la realtà in una forma di verismo sincretico, per quanto superficialmente inaccessibile, si configura, a seconda dei casi, come una barriera da superare (se lo si vuole, ovviamente) o un trampolino da cui lanciarsi tra le costellazioni. Dopo Per ora noi la chiameremo felicità, il secondo album (o il terzo, se si considera l’omonima prima demo del 2007) che ha evidenziato il pericolo di un appiattimento sulle forme già consolidate in Canzoni da spiaggia deturpata, capace di far vacillare anche l’aficionado più radicale, con Costellazioni il gioco cambia.
Il registro stilistico e linguistico, pur non discostandosi più di tanto da quello delle precedenti produzioni, risulta essere di più ampio respiro. Nel primo (bellissimo) singolo “I destini generali”, si può identificare una frase topica che, più delle altre e da sempre, potrebbe rappresentare la più evidente ed esplicità presa di coscienza dell’essere parte di un sistema di relazioni universale: “E’ solo un momento di crisi di passaggio/che io e il mondo stiamo attraversando”. Non è la storia di chi canta, è la storia di tutti, nessuno escluso. La crisi, il cambiamento, avviene, che lo si voglia o meno. Il cavalcare il flusso è il massimo che si possa fare, per non essere travolti dalla corrente.
“Le ragazze stanno bene” segna il secondo passo, in ordine cronologico di release, di Costellazioni. Un Vasco Brondi molto più melodico del solito che sembra iniziare a basare l’estetica finale delle sue canzoni non solo, principalmente, sulla potenza evocativa delle parole, ma anche su una cura maggiore dell’intonazione vocale. Inoltre, il brano in questione, riesce per la prima volta a raccontare una storia in una maniera più lineare e più lontana dalla modalità, almeno apparente, del cut-up che si può evincere dal resto delle tracce. Il risultato è più che positivo, merito anche del bell’apporto del signor Giorgio Canali.
Ulteriori variazioni, tutte fortunate, con “La Terra, l’Emilia, la Luna”, “Macbeth nella nebbia” (addirittura semi-recitato) o “Firmamento”, brano, quest’ultimo, che fa tornare alla mente i momenti più hardcore dei CCCP.
Non è che sia un altro Vasco Brondi, sia chiaro. Ma la crisi di cui sopra sembra averla attraversata anche lui, uscendone, fortunatamente, a testa alta e con uno zaino ricco di belle idee. O si odia o si ama, appunto. E qui lo si ama.
autore: A. Alfredo Capuano