Arancioni Meccanci mi dice un fico secco. Spulcio un po’ in rete, pare siano di Milano e allora mi chiedo anche perchè non li ho mai beccati in giro fino ad ora. Pubblicano con Seahorse il loro secondo lavoro, Nero, che nella sua totalità non è un disco completo. Ad esempio Appartamenti da bruciare e L’ultima notte non le sopporto e non è che ci sia una gran coesione fra i vari brani, solo che a pelle sono due estensioni che non mi dicono nulla.
A dire il vero quello che preme più di tutto è il pensiero che s’incuriosisce sui particolari: l’aria fumosa di Hombre che si trasmette nel testo di Anni 70. Dopo un minuto e mezzo Gianfranco Fresi, voce del gruppo, sembra preso dal loop degli “eroi negativi” ma la cinta olfattiva della chitarra indugia meravigliosamente sul delay salvando il cantante dall’ipnosi agnelliana. Poi c’è lo schizo pop à la Bluvertigo, confusamente mex rock à la Negrita (Deserti e Deserti 2) che abbaiano su classici minutaggi; piccole perle di algida saggezza come nella cover di Slave to love di Brian Ferry o in Animale, fresco scenario da americana synth wave.
Spot life è il gingillo più gustoso, pieno di sacrosanto punk 77 con qualche fronzolo noise alla Death in June, assolutamente perfetta, derisoria e caustica. Stessa ricetta per l’aussie noise di RNR devota ai cori esegetici. Discorso a parte merita il murder della title track che chiude il secondo atto degli Arancioni: insieme ad Animale e alla cover dell’ex Roxy Music, Nero è un piccolo prisma di luci coccolato dai diminuendo solleticati sulla tastiera che collassano in uno schianto da vetri rotti e robotici maquillage. Da sola basterebbe ad illuminare una stanza intera grazie ad una radiosa solennità in cui si dibatte – verso il quinto minuto e mezzo – a colpi di sintetica.
Aspetto il terzo disco con ansia, dopo averli incontrati di persona mi pare ovvio.
https://www.facebook.com/arancionimeccanici
autore: Christian Panzano