Il cantautore palermitano Fabrizio Cammarata è un musicista decisamente proteso verso gli Stati Uniti d’America, dove ha instaurato collaborazioni prestigiose a lui affini artisticamente, suonato nei festival, ed incide e distribuisce i propri dischi – l’esordio del 2007 era intestato solo a The Second Grace – cantati in lingua inglese, calati nelle atmosfere folk prevalentemente acustiche con un’incisione, una produzione del suono ed un missaggio di alto profilo, che spicca, in un ambito musicale alternativo; e questa qualità la si percepisce immediatamente all’ascolto, ed è confermata poi dalla presenza di JD Foster (Calexico, Vinicio Capossela, Marc Ribot) alla produzione e al basso, oltre al coinvolgimento agli strumenti di Joey Burns (basso, voce) e Jairo Zavala (chitarra) dei Calexico, e di vari altri artisti italiani ed americani sugli strumenti più vari, dal sitar al violoncello, dalla tabla, alla slide guitar, dal wurlitzer al farfisa.
Disco inciso dunque tra Sicilia e Usa contenente 10 canzoni, tra le quali si distinguono alcuni bozzetti poetici accompagnati da spogli arpeggi di chitarra e poco altro – l’indolente ‘All I Know’, ‘Highlake Bay’ e ‘Down Down’, che evocano Merle Haggard, Jeff Buckley, Damien Jurado ma anche gli hobo giramondo chitarra in spalla di un’epoca ormai andata – e brani più articolati e corali come ‘Me and the Rain’, ‘Misery’ e ‘Aberdeen Lane’, il tutto immerso nei sapori della frontiera, della polvere, dei tramonti, e di un’inquietudine interiore mai doma nei testi che emerge nei toni epici, fatalisti – Johnny Cash insegna… – che la narrazione di Cammarata talvolta assume – il singolo ‘Alone & Alive’, o ‘Down Down’, sono tipici esempi – con la sorpresa, in casi sporadici e tutti da cercare, di momenti nei quali si fa largo in qualche modo un’ispirazione mediterranea: accade nei suoni di ‘Misery’, o nel testo di ‘Mount Pellegrino’, e nella copertina, probabilmente catturata in un vicoletto siciliano…
Un folk della restaurazione dunque, fatto quasi esclusivamente di ballad, che sfiora qua e là rock – l’amara ‘Aberdeen Lane’, davvero tanto nello stile di Damien Jurado, e ‘Mount Pellegrino’, in cui Cammarata racconta un po’ di Palermo ai gringos – e tuttavia, pur in quest’ambito classicissimo, in salvo dall’ingessatura stile Nashville contemporaneo, con Fabio Rizzo (chitarra elettrica), John Riggio (basso) e Fabio Finocchio (batteria) che completano i Second Grace – nome mutuato da un verso di ‘Fly’, canzone di Nick Drake – i quali, guidati da Cammarata, ottennero alcuni clamorosi successi col precedente disco di 4 anni fa: il boom di ascolti su myspace da perfetti sconosciuti, l’invito da parte di Devendra Banhart, che aveva ascoltato il loro demo, ad eseguire una loro canzone, intitolata ‘Antananarive’, prima di un suo concerto in Sicilia, poi l’esposizione della stessa ‘Antananarive’ in uno spot televisivo, in cui il quartetto compare intento a suonare, infine il riconoscimento come rivelazione indie pop al contest del Mei.
Autore: Fausto Turi
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