The Death Defying Unicorn, l’ultima uscita dei Motorpsycho, vede una nuova collaborazione con Ståle Storløkken (musicista dei Supersilent, combo norvegese che partendo dall’impro-jazz è approdato ad un’ enigmatica elettronica d’avanguardia).
Niente paura però, perché i Motorpsycho ancora non hanno sposato quella causa. Paura invece, e tanta, per chi ancora considera i Motorpsycho la band degli anni novanta, poiché è già da diversi albums ormai che il trio di Trondheim nel compiere il suo più che ventennale viaggio intorno al rock ha sempre più ridimensionato quell’attitudine ‘indie’ con cui aveva investito le camere a tenuta stagna dell’hard rock e con buona pace di chi non vuole accettarlo, salutiamo questo album come uno degli ultimi grandi lavori di progressive a tutto tondo.
Per sbaragliare però il campo da eventuali equivoci occorre precisare fin da subito che qui il ‘progressive’ viene utilizzato soltanto in parte come mero riferimento al genere ‘progressive rock’ degli anni settanta, poiché è l’accezione più ampia del termine a dover essere validata in questo contesto. Di prog-rock classicamente inteso qui c’è n’è eccome, ma è solo una componente, mentre è la compresenza di differenti elementi musicali, la maestosità e l’imponenza, il format del disco, il concept che lo sottende, la qualità della composizione e gli ensemble che concorrono ad eseguirla, a suggerirci il ‘concetto’ di progressivo. Ma scendiamo nei dettagli per meglio comprendere cosa è The Death Defying Unicorn.
Innanzitutto gli ensemble di cui parlavamo, Trondheim Jazz Orchestra e The Trondheim Soloists: la prima ha suonato anche con Chick Corea, i secondi hanno ricevuto cinque nomination ai Grammy in tre anni.
Le pièces orchestrali dunque sono una chiave di lettura per questo lavoro e l’approccio al miglior jazz-rock d’annata rappresenta invece la sua degna controparte. E’ tra questi estremi che si pone la sensibilità rock dei Motorpsycho e la loro grandezza. Il disco 1 comincia con i due minuti di Out The Woods e i sette di The Hollow Lands, perfetta unione tra una ‘meditation’ di Mingus e lo splendore della Mahavishnu Orchestra di John Mc Laughlin. Quando poi entra la voce di Bent il jazz-rock diventa puro psych-prog e nella fantasmagoria di strumenti affiorano i fantasmi di Genesis e King Crimson. Dopo un’ introduzione e varie reprise jazz(rock) ancora crimsoniana è la terza traccia dal passo sincopato, Through The Veil, in cui la voce, questa volta effettata, assume quei consueti cromatismi di psichedelica californiana cui i nostri negli anni ci hanno abituato.
Doldrums è un’altra parentesi riflessiva in cui tra fiati ed archi accennati si aspetta che succeda qualcosa, e questo qualcosa è Into The Gyre, fiabesca nel suo incipit e nei suoi sussurri onirici, almeno fin quando non si insinua un violino baldanzoso prima, la batteria di Kennet Kapstadt ed ovviamente la chitarra in un velocissimo assolo poi e già qui c’è da stupirsi di come il connubio tra la parte rock ed il resto dell’impianto sonoro sia fluido e coeso. Questa caratteristica dell’album sarà maggiormente esplicitata nella prima traccia del disco 2, Oh Proteus – A Prayer dall’afflato quasi liturgico da far invidia ai più ispirati Mercury Rev, uno dei momenti più struggenti e delicati del disco in cui, all’acme del sogno (o della preghiera) si fanno strada il basso pulsante e la chitarra elettrica cattivissimi e ringhiosi come in Demon Box a puntellare l’orchestra, senza mai prevaricarla.
Sculls In Limbo è il momento sperimentale di drones ectoplasmatici seguiti da La Lethe dall’ elegante allure dark-jazzy un po’ alla Bohren Und Der Club Of Gore.
Il minuto di Oh Proteus – A Lament che riprende il tema iniziale di questa seconda parte è funzionale al corretto volgere al termine del disco, che – sebbene abbia fin ora dimostrato come i Motorpsycho possano confrontarsi in ambiti diversi con progetti sopra le righe – ha decisamente lasciato a bocca asciutta i fans della prima ora vogliosi di rock ‘puro’. Ed anche qui i norvegesi non deluderanno poiché Sharks è l’ultima traccia in cui non si rockeggia perchè con le ultime Mutiny e Into The Mystic si riprende il discorso lasciato nel periodo più psichedelico della band, quello di Phanerotyme, arricchito però da intuizioni – come già detto prima – in stile Mahavishnu Orchestra, cioè jazz-rock ultrafreak.
Il viaggio termina qui. Lasciarsi scoraggiare dalla durata o dalla pesantezza evocata da termini quali jazz, prog od orchestral sarebbe un peccato. Superata la diffidenza iniziale questo doppio album si rivela davvero speciale: una grande ‘rock opera’ che rievoca i grandi del passato senza oscurare minimamente la personalità sempre dominante dei Motorpsycho, la loro cifra stilistica’ che fa la differenza con qualsiasi altra band avesse pensato di misurarsi con un lavoro del genere. Difficile non ripetersi dopo una carriera così prolifica, ma l’intelligenza dei Motorpsycho e la loro spassionata devozione alla causa del rock li salva sempre e gli permette di affrontare delle scelte che sarebbero per altri dei veri e propri suicidi artistici. I Motorpsycho continuano a crescere ed offrono anche ai loro ascoltatori la possibilità di farlo, con la garanzia di poter sempre contare su una band dall’ispirazione ‘onesta’.
Il gruppo capitanato da Bent Saether sarà in concerto il prossimo 23 aprile al Bronson di Madonna dell’Albero (Ra), il giorno successivo al The Cage Theatre di Livorno ed il 25 aprile al Bloom di Mezzago (Mb).
Tracklist
Side A:
Out Of The Woods
The Hollow Lands
Through The Veil, part 1
Side B:
Through The Veil, part 2
Doldrums
Into The Gyre
Flotsam
Side C:
Oh, Proteus – A Prayer
Sculls in Limbo
La Lethe
Oh, Proteus – A Lament
Side D:
Sharks
Mutiny!
Into The Mystic
Autore: A. Giulio Magliulo
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