Sono trascorsi più di dodici anni prima di rivedere in Italia i Primus, la scorsa estate. Stavolta è andata decisamente meglio, visto che a poco meno di un anno dalle due apparizioni a Vigevano e Roma, Les Claypool ha riportato in Europa la sua creatura più riuscita. La band che ancor prima di Red Hot Chili Peppers e Faith No More ha riscritto le coordinate del crossover e ha fornito preziosi input a numerosi epigoni. Il tour primaverile “An Evening with Primus” ha preso il via proprio dall’Italia con due date, la prima al Palasport di Pordenone venerdì 23 marzo e il giorno successivo al Pala Eib di Brescia, organizzate da Barley Arts in collaborazione con Azalea promotion.
Due show divisi in due parti, con tanto di intervallo dedicato a Popeye con la proiezione di episodi d’epoca in bianco e nero (3 per sera), che ha spiazzato i presenti. Ma si sa, i Primus sono imbroglioni e da loro puoi aspettarti qualsiasi cosa. Anche che nel bel mezzo di un live tanto atteso ti piazzino 20 minuti di Braccio di Ferro.
La prima parte dei concerti viene incentrata sui loro classici tratti dai dischi che hanno fatto la storia della musica alternativa americana: da “Frizzle Fry” (1990) a “Sailing The Seas Of Cheese” (1991), da “Pork Soda” (1993) a “Tales From The Punchbowl” (1995) e “Brown Album” (1997).
La seconda, all’esecuzione integrale di “Green Naugahyde”, l’ultimo lavoro pubblicato lo scorso settembre. Un album che ha sancito il ritorno di Claypool e LaLonde alla formazione embrionale di fine anni ottanta con Jay Lane alla batteria. On stage, gli ormai consueti astronauti di gomma alti 4 metri e uno schermo a led che proietta immagini perfettamente integrate con la musica, compongono la scenografia dello spettacolo che per due settimane fa tappa in Europa.
Il live di Pordenone si apre con il consueto jingle a metà tra circo e banda euforica, poi subito il via con “Those Damned Blue-Collar Tweekers” e “Duchess And The Proverbial Mind Spread”. Dopo una simpatica raccomandazione a non usare flash delle macchine fotografiche arriva una delle loro hit più famose, raramente eseguita negli ultimi anni: “Wynona’s Big Brown Beaver”. Un brano che ha spopolato a metà degli anni novanta con il relativo videoclip, che narrava le gesta di tre pupazzi cowboy, in alta rotazione su Mtv in quegli anni. A seguire, “American Life” e “Over the Falls” con tanto di siparietto ironico su Marilyn Manson e assolo di Larry LaLonde, non a torto definito il novello Robert Fripp. Poi la scena è tutta per il poderoso Jay Lane, sempre più inserito nel progetto, che duetta con quel pazzoide di Claypool mascherato da gorilla che percuote la whamola.
Un numero ad alto tasso scenico. “Eleven” e “Jerry Was A Race Car Driver” chiudono dopo un’ora esatta il primo set, che cambia da concerto a concerto a seconda dell’umore e del vino bevuto (Les dixit).
A Brescia, ad esempio, hanno completamente stravolto la scaletta eseguendo in apertura “To Defy the Laws of Tradition”, una straordinaria versione di “Fisticuffs” dove trova spazio anche un omaggio ai Beatles di “Tomorrow Never Knows” (traccia conclusiva di “Revolver” del 1966), “John the Fisherman” e “Over the Electric Grapevine”. Oltre a due tra i brani più assurdi della loro discografia: “Seas of Cheese” e “Mr. Krinkle”, con Calypool che suona il contrabbasso con l’archetto mascherato da maiale. Anche i due bis sono diversi. Se a Pordenone i tre californiani hanno salutato i fans italiani, austriaci e sloveni con “Groundhog’s Day” e con l’inno pacifista “Too Many Puppies”, che all’epoca rapì anche il cineasta Michael Moore, a Brescia si sono concessi tra il boato della folla e un pogo sfrenato “My Name is Mud” e “Jerry Was A Race Car Driver”.
Tra i brani di “Green Naugahyde” funzionano particolarmente bene dal vivo “Eyes Of The Squirrel”, “The Last Salmon Man”, la floydiana “Jilly’s On Smack”, la furiosa “Extinction Burst” e “Lee Van Cleef” dedicata al maestro Sergio Leone.
In totale due ore e tre quarti di spettacolo, tra funk metal, psichedelica, trovate bizzarre, ritmi sincopati e musica di qualità.
Non c’è che dire, la psychedelic polka, come è stata definita dallo stesso Claypool la musica della band, sortisce sempre lo stesso effetto che lascia a bocca aperta gli spettatori.
Jam magistrali, improvvisazione, ritmo, precisione, interplay, esecuzione impeccabile e quella sana follia che li ha contraddistinti per tutta la loro carriera. Les Clayppool è un gigante del basso elettrico, riesce a suonare come pochi musicisti al mondo. Ma la sua dote maggiore non è tanto la tecnica (comunque eccelsa) o il groove, quanto la capacità di sviscerare note, atmosfere, effetti che rendono il suono del suo Carl Thompson inconfondibile. Un marchio di fabbrica unico. Larry LaLonde è il suo degno compare che sa tenergli testa egregiamente, mentre Jay Lane è un signor batterista che macina ritmo. Un trio unico nel suo genere, che non cede alle mode e riesce sempre a proporre un live act esaltante.
Autore: Umberto Di Micco_foto: Simone Di Luca
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