Il grande pubblico la ricorda nel 1990 per la splendida cover di Prince Nothing Compares 2 U, per i cinque minuti instancabili di primo piano nel video omonimo, ma anche per aver strappato anni fa in TV la foto di Giovanni Paolo II dicendo “dobbiamo combattere i nostri veri nemici”.
Ma in 25 anni di carriera, a partire dall’esordio dell’87 con “The Lion and The Cobra” Sinead O’ Connor è stata molto altro. Anzitutto una splendida cantante ed autrice, che ha suonato con Peter Gabriel, Massive Attack e Chieftains, che lancia oggi una cover di Dylan nel disco celebrativo Chimes of Freedom; e poi, come tiene a ricordare lei stessa a commento di questa nuova fatica, una protagonista femminile di vita irlandese, cosa difficile in Irlanda anche di questi tempi.
Il titolo del suo nono album, “How about I be me (and you be you)?” (“Che ne dici se io resto io e tu te stesso?”), provocatorio come tutto in lei, è proprio sul tema di essere stanca di aver vissuto sempre ascoltando gli altri su come essere e come presentarsi. Curioso da parte sua, visto che Sinéad ci ha abituato a credere che non le può mai esser fregato niente di seguire il mainstream, a partire dal suo leggendario taglio di capelli a zero.
Ma, ripetiamo, La O’Connor non è solo provocazione allo stato puro, è anche altro: una musicista a tutto tondo, come dimostra anche questo disco. Delle canzoni struggenti e romantiche alla Nothing Compares 2 U qui c’è solo Reason with Me (che non è però una canzone d’amore ma un pezzo su un tossico-dipendente da lei conosciuto che sta ritrovandosi dopo la disintossicazione), mentre 4th and Wine è un’allegra ballata pop, e Old Lady, una cantata molto irish dai toni cupi e arrabbiati, dedicata allo scontro col regista irlandese Neil Jordan.
Prodotto da John Reynolds, collaboratore di lunga data, l’album è composto da dieci canzoni che sembrano essere la definizione enciclopedica di Sinéad O’ Connor come musicista. Sono canzoni di amore e perdita, speranza e rimpianti, dolore e redenzione, rabbia e giustizia.
La sua voce canta tutto questo, dai toni grezzi di Old Lady ai toni dolci e appassionati di Take off Your Shoes, fino a quelli ispiratissimi della emozionante The Wolf is getting Married, vera perla pop del disco.
C’è poi tanta autobiogafia e lirismo personale, ma anche canzoni-storie, come I had a Baby, in cui Sinéad impersona una ragazza-madre, o alla bellissima, epica, Back Where you Belong, dove invece dà voce a un padre morto in guerra che parla a suo figlio.
Insomma già a metà ascolto si intuisce che siamo di fronte a uno dei lavori migliori di un’artista per la verità non molto prolifica (nove dischi in 27 anni), e magari anche poco simpatica, per chi la ricorda con la sua aria spocchiosa e saputella (Sinéad non è apparsa molto spesso nei media dal ’90 in poi, soprattutto non in Italia), ma di sicuro una delle voci più caratteristiche del panorama musicale al femminile. E’ una grande autrice, di musiche e di testi, un grande personaggio, una grande donna forte ma anche una mamma spesso insicura e fragile come si evince dall’intimista Very Far From Home, momento autobiografico dedicato alla nostalgia dei suoi 4 figli quando si è in tour. E c’è nel disco anche la Sinéad interprete, forse il suo volto più famoso, viste le cover da Prince a Dylan, con la reinterpretazione di Queen of Denmark di John Grant.
Non poteva certo mancare poi la Sinéad politica: Take opff Your Shoes viene dall’esperienza della cantante nella commissione di inchiesta sugli abusi dei minori da parte del clero irlandese, ed è sprezzantemente rivolta senza troppi fronzoli al Vaticano, ancora una volta preso di mira, cosa tanto più sorprendente se si pensa che parliamo di un’irlandese purosangue.
Insomma, sempre lei, verrebbe da dire.
Un gran bel disco per ritornare sulla cresta dell’onda. Politicante, incazzata, dura, ma anche dolce, mamma, romantica, ispirata. Ce la ricordavamo così e così la troviamo, e il mondo della musica internazionale non può che esserne contento.
Autore: Francesco Postiglione
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