Il buon Vasco Brondi si conferma con questo suo secondo lavoro il miglior cantautore rock della sua generazione, degno figlio artistico di quel Giorgio Canali che lo ha prodotto e sostenuto in studio e sul palco nell’esordio e che, in questo lavoro suona ancora le chitarre, dando ulteriore valore al disco.
Le chitarre di Canali sono il valore aggiunto alle liriche e alla ritmica di Brondi, dato che l’ex CSI riesce abilmente, come sua consuetudine, a dare pennellate importanti ai brani sia in maniera nervosa, sia con dilatazioni che danno ulteriore intensità alle canzoni, ma c’è anche l’ottimo lavoro in studio di Rodrigo D’Erasmo e Enrico Gabrielli e così il sound prende una forma più spessa e decisa.
“Per ora noi la chiameremo felicità” (edito da La Tempesta) è il degno seguito di “Canzoni da spiaggia deturpata”, alla fine dell’ascolto di questo atteso lavoro la sensazione è che il cantastorie ferrarese non abbia fatto che completare il lavoro d’esordio.
In questa sua seconda fatica, infatti, Brondi ha un piglio leggermente meno aggressivo, ma più introspettivo rispetto al primo full-lenght; sposta la sua attenzione più sulla relazione interpersonale approfondendo le caratteristiche introspettive che lo hanno caratterizzato sin dagli esordi.
Poi l’amore. Si, il nostro Vasco canta anche d’amore e di incontri in macchine con finestrini annebbiati, ma senza essere autocentrato e ponendosi sempre in un ritmo tra il dentro ed il fuori di sé stesso e della sua relazione. In fondo è questo l’aspetto più interessante di “Per ora noi la chiameremo felicità”, questa capacità di entrare ed uscire da sé stesso con un’attenzione sempre costante alle vicissitudini della contemporaneità e della precarietà di vita della sua (e non solo) generazione.
Nonostante i “soli” 26 anni, Brondi dimostra di avere una notevole dimestichezza con i tòpoi della canzone d’autore italiana, quella migliore, nella quale il personale è anche sociale, quindi la dimensione personale non è disconnessa dal contesto nel quale si vive.
I suoi flussi di coscienza, che ad un primo impatto possono sembrare associazioni libere e messe lì a caso, se ascoltati con maggiore attenzione costituiscono una profonda connessione delle dimensioni umane: la personale e quella collettiva.
Tutti i dieci brani presentano questa fondamentale caratteristica, nella quale Brondi ha il pregio di citare e parafrasare le grandi cose della migliore canzone d’autore italiana.
Lo stesso titolo del cd è una citazione del poeta libertario francese Leo Ferrè. Per esempio in “Una guerra fredda” riprende il Dario Fo di “Ho visto un re” parafrasando con un “il nostro male fa male al presidente”, per poi concentrarsi sullo sfruttamento delle giovani generazioni e lasciarsi andare a frasi del tipo “venderemo le nostre ore a sei euro …”, ma nel brano c’è posto anche per i magrebini sfruttati.
Nella prima strofa di “Fuochi artificiali” fa emergere una sua lettura sulle perversioni italiane con “come le repubbliche democratiche fondate sui telespettatori”, o quando parla di “ronde di merda” in “Anidride carbonica”. Brondi poi non ha bisogno di gridare slogan per rivendicare le sue posizioni politiche, dato che titola un brano “L’amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici”, strutturato su un blues ritmico con un cantato abbastanza malinconico. Anche quando non cita o non riprende la tradizione cantautorale italiana l’artista ferrarese riesce ad esprimersi con liriche molto significative.
In “Cara catastrofe”, infatti, già con l’incipit “sventoleremo le nostre radiografie per non fraintenderci” ci introduce in un flusso di liriche pregnanti, significative e profonde. La stessa accade ne “Le petroliere” nella quale emergono elementi metropolitani con frasi come “parlavamo delle nostre interiorità/come se fossero metropoli (…) ti avrei portato a nuotare dove affondano le metropoli/ (…) e coi tuoi sospiri fai cadere i governi”, un messaggio d’amore, disulluso e malinconico a chi vive la precarietà ed il ricatto del lavoro.
“Per ora noi la chiameremo felicità” conferma il grande talento del suo autore, che si differenzia dai suoi colleghi della sua generazione per la rara capacità di andare avanti ed indietro tra tradizione e contemporaneità, con invidiabile semplicità e dimestichezza.
Autore: Vittorio Lannutti
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