aa.vv. – Next stop… Soweto, vol. 1 : Township sounds from the golden age of mbaqanga (Strut)
aa.vv. – Next stop… Soweto, vol. 2: Soul, funk & organ grooves from the townhips, 1969-1976 (Strut)
aa.vv. – Next stop… Soweto, vol. 3 : Giants, ministers and makers: jazz in South Africa, 1963-1984 (Strut)
Prossima fermata… Soweto: è lì, nelle periferie urbane del Sud Africa della seconda metà del secolo scorso, trasformate in ghetti neri dall’Apartheid e rese baraccopoli dalla miseria, che ci conduce la Strut con ben tre uscite focalizzate sulla musica del Paese di Nelson Mandela. Vendute separatamente e accompagnate da libretti molto curati, contenenti note di commento e rare foto d’archivio, le tre compilations (ma di quattro cd si tratta, visto che la terza raccolta è doppia) documentano una scena musicale vitale come non mai ed istintivamente orientata verso gioiose forme di meltin’ pot sonoro, a dispetto di una situazione socio-politica fondata sulla violenza e sulla segregazione razziale.
Partiamo dal primo dei tre volumi, intitolato “Township sounds from the golden age of mbaqanga”. Di cosa stiamo parlando? Mbaqanga – termine che indica un piatto povero a base di cereali, una specie di farinata – è un genere musicale nato in Sud Africa nella seconda metà degli anni Sessanta e poi affermatosi su larga scala nel decennio successivo: una commistione di radici sonore zulu, strumentazione occidentale, dolci armonie vocali (vedi i canti corali tutti al femminile di Mgababa Queens, Mahotella Queens e Izintombi Zesi Manje Manje), elementi soul e soprattutto jazz (vi basti ascoltare la ruspante “Inkonjane jive” di Zed Nkabinde). Musica fortemente legata alle tradizioni rurali, per questo assai apprezzata presso gli strati più bassi della popolazione, ma anche assai poco proficua per i suoi interpreti: i musicisti mbaqanga non riuscivano a guadagnare molto (uno dei massimi rappresentanti del genere, il “leone di Soweto” Simon Nkabinde, è morto nel 1999 in assoluta povertà) e negli anni Sessanta il modo migliore che avevano di farsi conoscere era quello di esibirsi davanti ai negozi di dischi, poiché i loro brani ottenevano difficilmente passaggi radiofonici (in tal senso fu assai importante il successivo sostegno delle stazioni radio raccolte sotto la South Africa Broadcasting Corporation, sostegno foriero di notevole popolarità). Avere la possibilità di ascoltare tutti insieme questi venti brani, per la maggior parte provenienti da vecchi 45 giri ormai introvabili, è fonte di incredibile soddisfazione, ve lo assicuro!
Stesso periodo di riferimento – si parla degli anni che vanno dal 1969 al 1976 – per i pezzi compresi nel secondo volume dedicato a “Soul, funk & organ grooves from the townships”, e uguali sono pure un paio dei nomi in scaletta – Mahotella Queens e Mgababa Queens – cosa che non deve stupire visto che a proposito della genesi del fenomeno musicale mbaqanga abbiamo parlato di chiare influenze, più o meno marcate, della musica soul. Vero è che questo secondo volume si concentra soprattutto su sonorità funk ed intende illustrare quelle forme soul prive di contatti diretti con le tradizioni musicali zulu: pur nell’indiscutibile spontaneità delle varie interpretazioni “autoctone”, qui i modelli di riferimento sono infatti a stelle e strisce e portano i nomi di James Brown, Booker T. & The MG’s e tribù Stax assortita. Gli Heroes di “Come with me” e di “Funky message”, Bazali Bam con un pezzo omonimo, Philip Malela con “Intandane” e Tiba Kamo”, The Grasshoppers con “I am there” (dove note di piano saltellano scatenate su rozzi grooves di basso), Soul Throbs con Little girl” e Gibson Kente con “Saduva” sono gli artisti che, ne sono convinto, faranno sudare maggiormente il vostro collo ondeggiante e faranno muovere con più insistenza i vostri fianchi adiposi!
Il percorso di approfondimento suggerito dalla Strut si chiude con il jazz e in questo caso la prospettiva di osservazione copre un periodo più ampio, il ventennio abbondante compreso tra il 1963 e il 1984. Ben due cd per venti pezzi complessivi, per lo più improntati ad un be-bop convenzionale nella forma ma indiscutibilmente di gran qualità (vi basti l’ascolto di “Dedication (to Daddy Trane & Brother Shorter” del Mankunku Quartet e di “Pinese’s dance” della sigla Jazz Giants). Inoltre alcune chicche, come “Orlando” di Dennis Mpale, briosa nella sovrapposizione di assoli di tromba, percussivismi pianistici e sbuffi vocali, e un inedito di Dollar Brand intitolato – guarda caso – proprio “Next stop, Soweto”.
Un otto pieno e strameritato a tutta l’operazione, e se proprio siete costretti a fare una scelta fra le tre raccolte, dirigetevi senza esitazione sul primo volume, imbattibile quanto a freschezza ed originalità del materiale presentato. Carrellata interessantissima, e la speranza è che la Strut continui anche in futuro ad esplorare con identica curiosità altre lande musicali a noi lontane e (in gran parte) sconosciute.
Autore: Guido Gambacorta
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