Se erano serviti quattro anni per prendersi una pausa tra un disco e l’altro, questa volta sono bastati poco più di sei mesi: End Times è la nuova fatica degli Eels, a breve distanza dallo splendido Hombre Lobo. 14 canzoni brevissime (tutte sotto i quattro minuti) e folgoranti, nella loro perfetta esecuzione: Mark Everett è in piena forma, e mantiene lo stile Eels fatto di pezzi ritmati e grintosi alternati a ballate malinconiche, qui quasi sempre eseguite con sola voce e chitarra.
Stavolta la malinconia prevale, in pezzi come la iniziale e quasi programmatica The Beginning, In my Younger Days, o Nowadays, o ancora I Need a Mother, Little Bird e la conclusiva On my Feet, anche se non mancano i blues melodici a cui la band ci ha abituato (Paradise Blues, Unhinged).
Sorprende intanto che per un album così intimista come di fatto è End Times, la stampa inglese non specializzata si sia scatenata con una quasi unanimità di 4 stelle (The Times, Financial Times, The Guardian, The Observer, The Independent, The Sun, The Mirror, il Sunday Express) mentre le riviste di settore gridano al capolavoro (Mojo, Uncut) o più ancora, all’album dell’anno (Evening Standard) o addirittura del decennio (The Sun).
Parole un po’ troppo forti forse, per un album suonato, diciamo così, a volume basso, soprattutto mediante arpeggi e armonie acustiche, registrato prevalentemente negli studi casalinghi di Los Angeles su un registratore a 4 piste (e viene in mente Nebraska di Springsteen, a cui questo disco a volte ammicca). Sulle quali armonie, comunque, svetta suprema la voce di Mr. E, mai così in forma, a metà strada fra il Mark Knopfler di Private Investigations e un Tom Waits particolarmente ispirato.
Album intimista, si diceva. Anche perché i testi sono quasi esclusivamente ispirati al divorzio dalla sua (ora ex) moglie Anna, e esplorano il rapporto tormentato dell’autore con l’amore della sua vita: dagli inizi (The Beginning, appunto, una dolce canzone sulle illusioni e il senso di libertà che l’amore offre) fino alla sua conclusione, con On My Feet, dove programmaticamente Mr E canta della sua attuale condizione.
Album intimista e autobiografico, ancora una volta ispirato da tragedie familiari, come a suo tempo Broken toy shop e Electric shock blues, scritti di getto per la morte dei suoi familiari: segno che la più forte ispirazione Mr E la trova all’interno del suo mondo, e soprattutto all’interno del suo dolore, come i più grandi poeti e artisti.
E certo di vena artistica, e piuttosto prolifica anche, Mr E non manca: il suo ottavo album racchiude da questo punto di vista l’essenza musicale del progetto Eels (in cui il ruolo del bassista Butch alias Jonathan Norton e del bassista Tommy Walters non sono secondari né subalterni, ma costituiscono l’ossatura ritmica dei “lamenti” melodici di Everett), riuscendo a coagulare in 14 veloci pezzi una linea stilistica indie che è diventata già a suo modo “classica”, esaltando la semplicità della musica e la primordialità delle liriche.
Non manca nemmeno la cura dell’artwork, affidata al fumettista Adrian Tomine, essenziale e immediata, eppure fortemente comunicativa, che si richiama esplicitamente alla copertina di Hombre Lobo: è lo stesso Everett-Licantropo a giganteggiare in copertina, ma più vecchio, col barbone bianco e uno sguardo indiscutibilmente sconfitto.
Il che è tutto dire, per un musicista che in otto album ha definito uno stile, un modo tutto particolare eppure già classico, di essere “indie”. Lode ai solitari uomini-lupo del nostro tempo.
Tracklist
1 The Beginning
2 Gone Man
3 In My Younger Days
4 Mansions of Los Feliz
5 A Line in the Dirt
6 End Times
7 Apple Trees
8 Paradise Blues
9 Nowadays
10 Unhinged
11 High and Lonesome
12 I Need a Mother
13 Little Bird
14 On My Feet
Autore: Francesco Postiglione
www.EELStheband.com