Poeta, scrittore, Rocker. Era un punk, Jim Carroll, morto venerdì 11 settembre a cinquantanove anni per un infarto. La sua vita è sparsa di lettere e parole, seminata di bozze e appunti.
“The Basketball diaries”, scritto a tredici anni (63-66) e pubblicato nel 1978 colpì in faccia la crema del beat con le storie di strada di un ragazzino americano intriso di basket, eroina e letteratura, raccogliendo gli elogi di Jack Kerouac, William Borroughs e Patti Smith.
Quel romanzo duro e allucinato scioglieva sul bianco della carta i rimbalzi del parquet e le gocce di eroina, negli intramezzi di sciroppi trangugiati d’un sorso, visioni confuse e frenetiche ronde sessuali.
“Penso alla poesia e per come la vedo io è un blocco di pietra grezza che aspetta solo di essere modellato…prendo le immagini che mi vengono dall’archivio al piano di sopra e le uso come mattoni, certe volte impilandoli bene bene e certe altre incasinandoli, così c’è il rischio che poi ti cascano addosso”.
Quella prima esperienza letteraria sarebbe approdata negli anni novanta alla trasposizione cinematografica, protagonista un giovanissimo Leonardo Di Caprio:
il film era “Ritorno dal nulla”, storia fermata magnificamente sulla carta ridisegnata in immagini. Il libro successivo, “Jim ha cambiato strada”, cronaca di brevi spiragli del periodo 71-73. In mezzo, costante, proseguiva il lancio degli “arpioni,”, che da aghi tossici diventavano fonemi, versi scintillanti che rinascevano sulle ceneri dei maledetti francesi.
“C’è uno strano senso di disperata nostalgia che mi prende quasi tutti i giorni e sempre verso sera… quando sopraggiunge porta con sé un fardello di domandine… sento la mente che le colleziona, sento fisicamente il cervello che le assorbe come striscioline di giornali di ieri in una fantasiosa lettiera per gatti”.
Poi, nel 1980, arrivò il rock, nella sua forma più cruda. Come cortometraggio bianco e nero, con i nudi colori del pentagramma a farsi strumento per i flussi verbali. Poesie, rapidi flash. Punk, new wave, rock’n’roll.
L’esordio, “Catholic boy”, 1980, è una collezione di giovani schegge. Radio New York trasmette Patti Smith, Television, Talking Heads. A produrre il secondo disco, due anni dopo, era pronto Lou Reed, che iniziò a riscrivere i testi mandando tutto per mare. “Dry dreams” panoramica di incubi e fantasmi urbani. La periferia, i contrasti e le mezze tinte colano tra le immagini lungo tutta l’opera di Carroll.
“Every night I have the some dreams/ white crows in an empty sky, when I call they descend, the young trees bend/ and the dream is always dry”.
Al terzo disco, nel 1984, il gruppo si esaurisce: l’ultimo album “I write your name” chiude il cerchio musicale, mentre Carroll non esce che a tratti dal suo intimo dialogo con la dipendenza, che lo richiama più volte.
La tensione prende le sue strade e si riporta sui taccuini, rapidamente, in morsi voraci o flussi ampi. In italia la raccolta “Paura di sognare” mette insieme diverse opere poetiche, dal “Book of nods” dei primi anni settanta a versi più recenti. Le ultime immagini lo raffigurano stanco e segnato, come un redivivo Chet Baker, a memoria di eccessi e viaggi.
Jim Carroll ha attraversato la sua vita facendosi sguardo, concentrato a descrivere e sentire. Fin dai primi limpidi accenni, lasciati nella prosa del suo primo e indimenticato diario, liberi, ancora una volta.
“Bambini giocano a biglie / dove i rami spezzano il sole/ in aggraziati fasci di luce/voglio solo essere puro”
Jim Carroll interview 1/18/91 Cleveland Ohio
Autore: Alfonso Tramontano Guerritore
www.catholicboy.com/