Senza di loro, oggi probabilmente saremmo orfani di tantissime band che dagli anni 70 a oggi hanno invaso le nostre case. Non ci sarebbe stata la british invasion e l’America non avrebbe mai conosciuto il british sound, come si è definito nel tempo. Tutto il brit pop probabilmente non sarebbe stato come lo conosciamo e Yoko Ono sarebbe solo un’artista senza un letto in cui protestare e i Gallagher sarebbero solo due fratelli come tanti che avrebbero litigato e fatto incazzare la mamma.
I Beatles sono tornati, il 09/09/09 (numero ricorrente nella storia Beatlesiana), grazie alla riedizione completa, opera della collaborazione della Emi Music e la storica label Apple, della loro opera, rimasta ferma al 1987, quando le tecnologie erano altre e il suono non proprio all’altezza. E questo forse era il più grave sgarro a un gruppo che aveva fatto di tutto per ottenere il miglior suono possibile, un gruppo che lavorava tantissimo in studio e che piano piano ha abbandonato sempre più i live: “Potremmo mandare quattro statue di cera al nostro posto e la gente sarebbe soddisfatta. I concerti dei Beatles non hanno più niente a vedere con la musica” disse Lennon dopo una tournée in Asia. Da lì il lavoro continua alla produzione e al missaggio, alla ricerca di nuove soluzioni tecniche oltre che musicali.
Difficile non scadere nella retorica quando si parla, probabilmente, del gruppo più influente della storia della musica. Ma i Beatles sono quello, sono le storie che hanno reso retorico qualsiasi discorso su di loro, sono il più grande fenomeno pop della storia, riconosciuto ai quattro angoli della terra, sono quattro ragazzi di Liverpool che cambieranno per sempre il modo di fare musica. Paul McCartney, John Lennon, George Harrison e Ringo Starr sono la formazione definitiva che ha regalato al mondo alcune delle canzoni più importanti: Helter Skelter, All you need is love, Lucy in the sky with diamond, Here comes the sun etc…ma probabilmente è impossibile stilare una classifica, anche perchè la varietà dei pezzi dei Fab Four è incredibile. C’è la parte più british, più pop degli inizi, ma c’è anche la psichedelia della seconda fase della loro produzione, quella successiva a un loro incontro con Bob Dylan che li accompagna alla scoperta delle droghe. La religione, le droghe, il misticismo e la consapevolezza di essere più che un prodotto commerciale portò i Beatles a una seconda parte di carriera segnata da capolavori assoluti e qualche problema (come quando Lennon dichiarò di essere più famosi di Gesù – paragone ripreso con meno buzz dagli Oasis – e che gli costò l’odio del Ku Klux Klan).
Tutte quelle influenze segneranno le canzoni di album come Revolver, Sgt Pepper’s Lonely Heart Club Band, The Beatles (o White album) o Abbey Road, Canzoni come Lucy In the Sky with Diamonds (in cui molti hanno visto nell’acronimo LSD), o la cripticità di Happiness is a Warm Gun (sesso? eroina?) piuttosto che il nonsense (marchio distintivo di molti testi lennoniani) di A day in the life.
Una carriera quella dei quattro di Liverpool nata quasi sotto una cattiva stella, tra poca fiducia e un’etichetta che non credeva tantissimo in loro (ma con un manager che li impose in tutto il mondo: Brian Epstein), fino a Please Please me, il loro primo successo e da lì la discesa verso il successo inarrestabile. Un successo che è andato oltre la musica, che ha permeato in maniera fondamentale la cultura di più di una generazione, che li ha portati a diventare baronetti e che ha attivato quella che ormai è comunemente chiamata beatlemania che, come ci dice Wikipedia, è “l’adorazione incondizionata al di là dell’estrazione sociale, della cultura, del sesso e dell’età per idoli della nascente musica pop, che si manifestava in crisi isteriche, assembramenti di folla, euforia, ossessione, urla, pianti, svenimenti frequentissimi, consumo frenetico di oggettistica riguardante il gruppo”.
Un fenomeno culturale fondamentale che si è nutrito anno dopo anno di storie, leggende (chi ha letto il numero di agosto di Wired Italia sul mito della morte di Paul McCartney può capire), suoni, allusioni e chi più ne ha più ne metta. Il cofanetto li ripropone ancora una volta al mondo ai fan, che avranno un feticcio in più, a chi li ha amati e potra godere dei nuovi apporti tecnologici, a chi preferiva i Rolling Stone (ma veramente bisogna scegliere?) e ora potrà gridare all’ennesima trovata commerciale. Allan Rouse, colui che ha reso possibile questo nuovo progetto ha spiegato a Les Inrockuptibles i vari vantaggi di questa mastodontica opera di messa a nuovo: “(…) Gli album erano stati pubblicati su Cd più di venti anni fa senza mai essere oggetto di rimasterizzazione: la tecnologia è sufficientemente evoluta per permettere un trasferimento delle bande originali al formato digitale e ottenere in più una migliore qualità piuttosto che se fossimo partiti dal cd. Poi la tecnologia digitale oggi ci ha aiutato a effettuare sui dischi dei miglioramenti difficilmente realizzabili prima”. E Paul e Ringo che ruolo hanno avuto? “Nessuno – continua Rouse – (…) hanno solo ricevute le bande una volta terminato tutto il processo, per dare la loro approvazione”.
E’ attesa anche l’uscita di “The Beatles: Rock Band”: il gioco, il primo interattivo dedicato ai Fab Four, permetterà di suonare strumenti musicali proprio come quelli utilizzati da John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr e George Harrison.
Insomma la beatlemania non si ferma e i ricordi mi spingono al giorno in cui per il mio 13° compleanno Giulia mi regalò la musicassetta originale (la prima della mia vita credo) del loro best of . Che fu proprio quello l’inizio?
Autore: Francesco Raiola
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