Tra le tante leggende sotterranee, molte appartengono – non si sa perché – all’ambito del power-pop. Artisti o gruppi che hanno avuto i loro 15 minuti di celebrità e poi sono scomparsi nel nulla, pur continuando a scrivere belle canzoni, a suonare in giro per il mondo, a incrociare collaborazioni sino ai nostri giorni. Una di queste leggende underground si chiama Jim Basnight: da solo o con i Moberlys. La sua è una storia interessante che merita di essere raccontata. Oggi è anche facile seguirla discograficamente visto che Jim ha provveduto a ristampare per l’etichetta di sua proprietà, la Precedent Records, diversi dischi che coprono tutto il suo excursus artistico.
Le origini dei Moberlys si perdono nella Seattle punk. E’ il 1° maggio 1976 e tre gruppi locali organizzano un concerto autogestito: “The TMT Show”. TMT sta per Telepaths, Meyce e Tupperwares, i nomi delle tre formazioni protagoniste della serata. Nei Meyce, che il 6 marzo del 1977 avrebbero anche fatto da spalla ai Ramones, spiccava la figura del chitarrista e cantante Jim Basnight.
Chiusa l’esperienza Meyce, nel 1978 Jim firma da solista un sette pollici oggi ricercatissimo: “Live In The Sun/She Got Fucked”.
Quindi forma i Moberlys con i quali nel 1980 pubblica un classico del power-pop: “Sexteen”. E’ un disco solare e incisivo, che si apre proprio con la melodia di “Live In The Sun”, e contiene una serie di altre gemme favolose, sempre in bilico tra sonorità anni ’60 (Beatles, Sonics, Byrds) e le nuove intuizioni rock’n’roll di band contemporanee come, ad esempio, i Modern Lovers di Jonathan Richman.
“Sexteen” mette in fila una serie di belle canzoni ora ipermelodiche (“You Know I Know”), ora giocate su mid-tempo ricchi di groove (la title track, “I Return”) ora decisamente più abrasive e rock’n’roll (“Country Fair”, la stupenda “Last Night”).
Al momento dell’uscita l’album ottiene recensioni entusiastiche da una parte all’altra dell’Atlantico e, alla fine dell’anno, finisce addirittura al terzo posto nella classifica dei migliori dischi della rivista Trouser Press. Di questo disco esistono diverse ristampe (una anche con il titolo di “The Moberly’s First Album”): quella messa in circolazione dalla Precedent contiene ben 9 bonus-track che si muovono sulle stesse coordinate e tradiscono lo stile di songwriting, incisivo e raffinato, di Basnight.
“Sexteen” potrebbe aprire nuovi scenari alla formazione di Seattle, ma la band si scioglie e Jim decide di cercare fortuna prima a New York, poi nuovamente a casa, infine a Los Angeles.
Per tutti gli anni ’80 i nuovi Moberlys, ora con il nome di Jim Basnight & The Moberlys, acquistano lo status di cult-band e sono sempre a un passo dal grande successo. Che, per un motivo o per l’altro, non arriva mai. Peter Buck dei REM è un grande fan del gruppo e ne registra diverse session per la Emi. Però, in seguito a cambiamenti all’interno della major, il dirigente che li aveva messi sotto contratto viene licenziato. E con lui la band.
Le tracce registrate in questo lungo peregrinare, durato quasi un decennio, sono contenute in “Seattle-NY-LA”, uscito originariamente per la piccola label francese Pop the Balloon nel 2001. Ora nuovamente disponibile via Precedent, questa raccolta contiene 23 brani: molti di routine, ma anche alcune delle più belle canzoni scritte da Jim Basnight. Episodi power-pop che avrebbero certamente meritato una sorte migliore e ben altri responsi commerciali: su tutti “I Wanna Be Yours”, “Rest Up” e la grintosissima “Blood Beach”.
Chiusa definitivamente la parentesi Moberlys nel 1989, Jim si ricolloca a Los Angeles dove inizia a suonare con musicisti provenienti da diverse esperienze come Mike Czekaj (Fuzztones), Ted Bishop (già accanto al re del soul, Solomon Burke), Arno Lucas (musicista del giro di Peter Gabriel), Fred Mandel (turnista di Alice Cooper), Carla Olson e altri. Da queste session nel 1992 viene fuori la cassetta “Pop Top”, oggi disponibile anche in Cd. Essendo una raccolta che copre il periodo 1987 – 1992, molteplici sedute di registrazione con musicisti e produttori diversi, il contenuto sonoro è alquanto frammentario. Però di assoluto interesse perché mette in mostra l’eclettismo del rocker di Seattle: assieme ad episodi quasi mainstream, troviamo canzoni pop dai toni soffusi e intriganti (le iniziali “My Visions of You” e “Don’t Dance With Strangers”), virate psichedeliche (“Houston Street”), malie elettroacustiche (“Price of Our Insanity”, “Love and Hate”), r’n’r a presa diretta (“Blue Moon Heart”) e mid-tempo dal groove pazzesco (“Hello Mary Jane” ed “Evil Touch”).
Successivamente Jim forma un’altra band: The Rockinghams. Si tratta di un power-trio composto assieme a Criss Crass dei Muffs e Jack Hanan dei Seattle’s Cowboys. La band, che rimane in attività dal 1993 al 1997, pubblica brani su diverse compilation e suona moltissimo dal vivo. Ne è testimonianza “Makin’ Bacon”, pubblicato una prima volta via Not Lame nel 1999, e ora nuovamente disponibile. E’ forse uno dei momenti più ispirati della carriera del musicista americano: con i Rockinghams, Jim Basnight irrobustisce le trame sonore e sposta la sua formula musicale verso un rock d’impatto che non dimentica un versante melodico. E’ sempre power-pop, ma con l’accento che stavolta cade sulla prima parola. Come al solito, sono le canzoni a fare la differenza. E in “Makin’ Bacon” ce ne sono parecchie che valgono una menzione: la solita, spettacolare, “Hello Mary Jane”, ma anche “Middle of the Night”, “She Give Me Everything I Want”, “Played A Trick”, “Rock’n’Roll Girlfriend”, solo per citarne alcune.
Mentre anche l’avventura Rockinghams volge al termine, Jim decide che è arrivato il momento di suonare da solo. Organizza degli show acustici in cui propone brani dal sapore vagamente beatlesiano. Che poi finiscono nel suo nuovo progetto, “The Jim Basnight Thing”. L’omonimo album, anch’esso ristampato da Precedent, raccoglie 12 canzoni dall’indiscutibile fascino pop. Arrangiato in maniera brillante, con l’uso di tromba, violini, armonica, chitarre a dodici corde, il disco copre l’intera gamma del songwriting di Basnight. Ma è soprattutto un disco tranquillo, rilassato e rilassante, in cui il gusto per la perfetta melodia pop si sposa con atmosfere a volte vagamente jazzate, a volte più vicine al country, sempre e comunque raffinate. Su tutte spicca la bella ballata acustica, impreziosita dalle magie del violino, “Red Light Moon” (scritta da Mike Czekaj dei Fuzztones), la delicata, notturna “No More War”, l’evocativa “I’ll Be There” e il pastiche (con testo in italiano, francese e spagnolo) di “Lattes”.
L’ultimo lavoro in ordine cronologico realizzato da Jim si intitola “Recovery Room” e racchiude 14 brani registrati un lasso di tempo di cinque anni, dal 1999 al 2004. E’ un album in cui l’ex leader dei Moberlys da un lato ritorna al suo power-pop solare e a presa immediata. E dall’altro predilige episodi lenti e introspettivi dal retrogusto jazz. Alla prima categoria appartengono brani come l’iniziale “Miss America”, l’intrigante “Look Inside” o la nervosa “Minute Just A Minute”. Mentre le notturne “Comfort Me” e “Brother Louie” svelano l’anima più intimista del musicista di Seattle.
Autore: Roberto Calabrò
www.jimbasnight.com