Il maestro Armando Trovaioli ha recentemente dichiarato: “Per me il jazz è la vita; il fatto di partire sempre da un’improvvisazione dà una meravigliosa sensazione di libertà”. Come potergli dare torto; anche per chi ascolta vedere un solista che si avventura in virtuosismi più o meno complessi, più o meno ispirati, ma che portano lontano, verso lidi d’assoluta libertà creativa, restituisce un’emozione unica, indescrivibile, quasi surreale. E nel gesto c’è la metafora della vita, il tempo che passa, pieno d’insidie, ritorni, sorprese e dolori. Il jazz è nell’anima. Lo si può imparare, imitare, eseguire, ma per farlo vivere bisogna averlo nel cuore. Un pensiero che rimanda dritto ad una figura piena del suo splendore creativo, della sua luccicante sensazione di libertà: John Coltrane e il respiro profondo della sua arte.
Ideata come un dono al Signore, “A Love Supreme” è una suite che parte dall’anima, per arrivare fino al senso stesso della musicalità jazzistica, della vita in sé e della sua spiritualità. L’opera, divisa in quattro movimenti, è piena di rimandi e significati che vanno oltre la bellezza e l’evoluzione del discorso musicale, molti dei quali portano dritti alla religiosità ebraica, al misticismo orientale e non solo.
Dal punto di vista strettamente musicale va innanzi tutto rimarcata la valenza degli interpreti del quartetto classico: McCoy Tyner – piano, Jimmy Garrison – contrabbasso, Elvin Jones – batteria, che riescono ad ispirare ed accompagnare egregiamente Trane in questo meraviglioso viaggio.
L’apertura è affidata al tenore del leader che richiama verso di sé l’attenzione di un brano (Acknowledgement) basato su una piccola cellula ritmica inizialmente esposta dal breve intervento di Garrison: poche, semplici, profondissime note riprese in seguito nel solo di sax e base pulsante per la preghiera finale, quel “A love supreme” devoto e speranzoso ripetuto all’infinito.
Anche nel secondo movimento, Resolution, si conferma fondamentale l’apporto di Garrison sia per l’esposizione del tema coltraniano che del parallelo – ma melodicamente asimmetrico – intervento pianistico di McCoy Tyner. La band si muove con destrezza e si esprime sfruttando un interplay ineccepibile. Una solidità d’intenti che consente al solista di staccarsi dal tema portante, per poi ritrovarlo nel finale con puntualità e naturale facilità: un esempio di flusso sonoro circolare che rimanda continuamente all’idea di universalità espressa dall’intera suite.
Pursuance è l’ideale spazio dove ognuno degli interpreti trova la sua totale efficacia. L’intro spetta alla batteria di Elvin Jones: l’approccio tambureggiante fa affiorare tutta l’irruenza tipica del drummer, un crescendo che porta diretti al solo di Coltrane. Il tenore s’allaccia senza attese alle ultime battute di Jones creando un ideale passaggio di consegne che rimarca nuovamente il concetto d’unione anche quando – come in questo frangente – l’espressione è in solo. Molto bella la parte a favore di McCoy Tyner. Il pianista si esprime su un livello tecnico assoluto, infilando una serie di strutture compositive debordanti, testimonianza tangibile di un meritato posto nella storia del pianismo mondiale. La fine del movimento vede il contrabbasso di Garrison vibrare su un andamento essenziale, libero da schemi e in grado di procedere per sottrazione ritmica senza perdere in consistenza timbrica.
Un controllo dinamico che spalanca le porte di Psalm, l’ultimo e sentitissimo passo della suite. Un brano che traduce in musica la lunga preghiera scritta dallo stesso Coltrane e riportata sul disco originale. Un suadente e sentito canto di fedeltà e beatitudine che il sax interpreta sui riflessi di splendore emessi dagli altri strumenti…
“A Love Supreme” è anche uno dei pochi dischi capaci di rompere gli argini di un discorso jazzistico spesso chiuso in angusti spazi occupati da pochi appassionati. Con la sua grande quantità di copie vendute è – a tutti gli effetti – da considerarsi un disco dal fascino universalmente riconosciuto, un album che unisce scuole di pensiero, filosofia, religione e musica: un autentico pezzo di patrimonio artistico lasciato in eredità da chi il jazz, oltre a suonarlo divinamente, l’aveva fortemente nell’anima.
Autore: Roberto Paviglianiti
www.johncoltrane.com