ART BLAKEY & THE JAZZ MESSANGERS
“1958 Paris Olympia”
2001 – Universal (Cd)
Da una progressiva collaborazione con Benny Golson nacque una delle più ispirate stagioni dei Jazz Messangers di Art Blakey. Alla fine del 1957, per via dei pochi ingaggi, la situazione economica della band non era delle migliori.
Blakey intuì il talento del giovane sassofonista di Filadelfia, gli lasciò molto spazio ed accettò i suoi consigli organizzativi. Golson, in breve tempo, ottenne la sostituzione dei musicisti con tre nuovi membri da lui caldamente proposti: Bobby Timmons (pianoforte), Jymie Merritt (contrabasso) e il giovane Lee Morgan (tromba), tutti di Filadelfia. Il rinnovato quintetto, l’anno seguente, diede alla luce lo splendido Moanin’ e fu molto apprezzato durante un memorabile tour europeo, di cui questo 1958 Paris Olympia ne è preziosa testimonianza.
Un set preciso, geniale e di grande flessibilità stilistica. Brani che trasudano d’intuizioni, soluzioni, idee. Il pubblico applaude a scena aperta i passaggi tra un solo e l’altro. I musicisti ripagano con finezze e senso d’insieme. Il batterista, quando l’andamento si rivela tranquillo (I remenber Clifford), se ne sta’ in disparte ed accenna tracciati, senza interferire sulle linee flessuose di Morgan e sui mosaici di Timmons. Quando è il momento d’imprimere tempi forsennati (Justice) si ritaglia spazi importanti, creando quelle strutture ritmiche nelle quali il giovane trombettista si tuffa senza esitazioni, rivelandosi veloce ed istintivo; una scheggia pensante. Golson sembra esserne il gemello melodico. I due si annusano, si conoscono e s’imbattono (Moanin’) in trovate uniche; elette. Il sassofonista arricchì il repertorio dei messaggeri con l’originalità di Blues march, una specie di marcetta nella quale Blakey trova divertimento negli stacchi bandistici e dove, sulla ritmica rimpolpata da Jymie Merritt, lo stesso Golson si prende, meritatamente, la scena. Diverrà un classico anche l’altra sua composizione presente in questo cd: Are you real? Un vero capolavoro strutturale. Ogni musicista ottiene uno spazio espressivo all’interno di un insieme ellittico, rendendo agli altri la loro parte di protagonismo. Un feeling di coesione difficilmente pareggiabile.
Disco veramente molto appassionante, un viaggio tra le sfumature e gli affondi di una band clamorosamente incisiva.
PAT METHENY & BRAD MEHLDAU
“Metheny Mehldau”
2006 – Nonesuch
Siccome non è detto che due ottimi tennisti nel singolare formino una buona coppia di doppio, non era così scontato che due interpreti del valore di Metheny e Mehldau potessero realizzare un lavoro di valore assoluto. Ed invece, bisogna ammetterlo, la partita l’hanno vinta in grande stile, giocando di precisione ed astuzia nello spazio armonico.
Il loro è un disco complesso, ricercato e stimolante. Perché non è facile per Metheny incrociarsi e sintonizzarsi perfettamente sulle figure melodiche di Mehldau, come in Unrequited, e per Brad è un puro gesto da fuoriclasse riuscire a trovare l’ispirazione, lo spunto creativo giusto sull’andamento zigzagante di Pat in Ahmid-6.
Quando poi entrano in scena dei gregari di lusso come Larry Grenadier al basso e Jeff Ballard alla batteria, si aprono gli spazi di manovra ed i richiami alle sonorità del PMG si fanno consistenti, ma sono ben coniugate con un verbo attuale, dal taglio tutt’altro che scontato.
Strutture finissime, cristalline, che sembrano cedere da un momento all’altro (Annie’s bittersweet cake) ma che invece trovano un senso di grande profondità, frutto di una ricerca maniacale dell’emozione e della solidità (Make peace). Una volta rafforzati alcuni punti cardine nello sviluppo musicale, come se non bastasse, i due producono anche degli andamenti meno rigidi e più movimentati (Bachelors III).
A questo primo disco ne seguiranno probabilmente altri; nuove sfide con dei nuovi tranelli, ma i colpi vincenti a loro disposizione sembrano davvero infiniti.
Autore: Roberto Paviglianiti
www.artblakey.com – patmetheny.warnermusic.it/