A volte si affrontano certi dischi e certi gruppi con animo inquieto. L’angioletto e il diavoletto poggiati sulla spalla a fianco della scimmia. Così, se da un lato vorresti, imbatterti in un grande disco, o in un grande gruppo, dall’altro vorresti allegramente partecipare al loro funeral party.
First impressions on earth, il nuovo degli Strokes era l’occasione buona per indossare il completo nero, inforcare gli occhiali da sole e sedersi lungo il fiume aspettando comodamente che passassero le salme (probabilmente stilosissime anche in questo estremo momento) dei cinque newyorkesi.
Lo so a volte sono maligno, un duro spietato dagli occhi cattivi, ma i duri passano per tipi affascinanti, si sa.
Così ho fatto allora.
Ho messo l’album nel lettore con l’animo di chi va a una festa mesta ma dovuta; prima che aprissero la porta parte You Only Live Once. Non me l’aspettavo così, lo giuro!
E’ un attimo, ti senti prima impacciato, poi invaso dal calore e infine sei già dentro la macchina a fare il gigione e nemmeno ti accorgi di tutte le cattiverie che ti eri preparato e pensi come un’illuminazione: Cazzo!
Il primo pezzo è come il tappeto rosso per la rock’n’rollandia dei tuoi sogni da giovane, è come un mutandina trasparente lasciata a terra davanti ad una porta semichiusa di un albergo. E’ un fremito e una riconciliazione con lo stadio giovanilistico della musica.
E pensi – mentre il 90% dei tuoi sensi non riesce a staccarsi dall’ammicamento continuo dei saliscendi vocali ruvidi e indolenti, dalle chitarrine che non distorcono mai la melodia, dalla sezione ritmica trascinante – che Julian Casablancas e soci ce l’hanno fatta ancora una volta. Bastardi!
Ne hanno ancora da vendere e per un attimo ti senti piccolo per tutte le congetture maligne che avevi preparato.
Passo a malincuore alla seconda traccia ma a metà canzone ritorno alla prima.
Sarà che ho un debole per il rock ma se un pezzo ti prende al primo ascolto significa che ha colto nel segno!
Il rock’n’roll non so ancora bene cosa sia, so solo che è un prodotto pop, che mentre lancia aperture verso la sensualità della vita, la rottura degli schemi, flirta con il sistema, con la moda, con gli stili di vita e consumo, l’hanno fatto i Rolling Stones e lo fanno gli Strokes: troppo cool per essere indie, troppo adulati per non pensare ad un ennesimo fenomeno alimentato ad arte.
Nessuno saprà mai dove finisce lo stile e inizia il talento perché mentre ascolti certa musica il cervello è narcotizzato e se ne fotte delle pippe.
Sono contento, penso e con quest’animo ritorno alle altre tracce speranzoso e nostalgico. Juicebox, il secondo pezzo, è più chiuso, più potente, linea di basso in evidenza, cantato arrabbiato; ammiccano ai Franz Ferdinard?
Bella l’apertura vocale ma il tutto, nel complesso, mi sembra già sentito e sperimentato.
Un cuore in gabbia, Heart In A Cage si apre sulla falsariga del precendente.
In questi pezzi sembra quasi d’intuire il desiderio di maturare, di crescere; si saranno ben guardati attorno i nostri cinque e la scelta di cambiare produttore (David Kahne al posto di Gordon Raphael) è testimone di questa volontà, senza dimenticarsi però da dove si viene e così Razorblade ritrova la felice vena di Is this it, quella leggerezza che ce li ha fatti amare; un potenziale singolo.
Basta poco per salvare una canzone, così mentre scivola anonima On The Other Side mi fa venire un brivido, domani la riascolterò con piacere.
Vision Of Division, sembra quasi lo sfogo per tutto ciò che la celebrità può toglierti, non male. All that I do, is wait for you urla Casablancas nel ritornello disperato.
La seconda parte del disco è decisamente più noiosa, sicuramente più sfilacciata: momenti interessati a pezzi decisamente riempitivi.
Ask Me Anything è il pezzo più atipico dell’album, solo Mellotron e voce quasi lirica per un pezzo quasi d’altri tempi.
Electricityscape parte cupo, poi si fa incalzante. Una buona bside anni 80.
Fear Of Sleep è tirata, quasi disperata, probabilmente ispirata ai problemi d’insonnia. Da macchina, poco prima dello schianto.
Il disco conclude le sue 14 tracce con la brutta Red Light.
Scuoto un po’ la testa. Mi sento un po’ fesso, un po’ ridicolo. Ho simulato giovinezza ma questa festa infine era piena di ragazzini per non chiedermi dopo un po’ che cazzo ci facevo. Maledetta base rock!
Nella pausa tra Room of fire e questo nuovo lavoro i cinque rampolli della revancha del rock hanno più volte rischiato la crisi di nervi, troppo velocità attorno a loro, troppi scatti, gossip e troppo di tutto.
Del resto il sistema discografico ha provato a replicare il loro successo, sfornando tanti gruppi tutti più o meno bravi, tutti più o meno simili.
Agli Strokes toccava il compito di ristabilire le distanze senza fare il verso a se stessi. In parte ci sono riusciti in parte no, First impressions on earth è un lavoro dalla doppia faccia, alcune perle, una sensazione palpabile come di crescita anche tecnica (vuoi vedere che in questi anni hanno pure trovato il tempo di andare a lezione di musica?) e altre canzoni messe là, decisamente inutili se non brutte. Prima ti gasa e poi ti ammoscia.
Poteva essere un EP fantastico ma si sa ad allungare il brodo…
Prima di staccare riascolto You Only Live Once, per lasciarmi in bocca un sapore più dolce e sensuale. Si sa così funziona.
Autore: Andrea Iozzino
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