Mentre la crisi della discografia certifica l’avvento della nuova era digitale, un piccola etichetta a stelle-e-strisce festeggia il ventennale di attività andando in controtendenza. E pubblicando a getto continuo una messe di dischi nuovi, come se nulla fosse. Fondata nel 1985 da Gregg Kostelich e Michael Kastelic per pubblicare i dischi della loro garage-band, i Cynics, la Get Hip si è poi allargata a macchia d’olio. Oggi non è soltanto una delle più attive etichette indipendenti americane, ma anche una distribuzione di tutto rispetto, con oltre 20mila titoli in catalogo.
Lo spettro sonoro della label di Pittsburgh copre tutto ciò che è affine al rock’n’roll: garage, beat, frat-rock, punk, soul, doo wop, psichedelia. Moltissimi sono i dischi usciti con il marchio Get Hip Recordings anche quest’anno. Vediamo un po’ di che si tratta.
Iniziamo dagli Ugly Beats e dal loro debut-album “Bring On The Beats!”. Proveniente da Austin, il quintetto texano suona una mistura garage-beat con derive folk, degna dei migliori episodi di “Pebbles”. I dodici brani contenuti in “Bring On The Beats!” sono filologicamente perfetti grazie anche al sound avvolgente dell’organo Ace Tone, suonato dell’intrigante Jeanine Attaway. L’open-track “I’m The One”, le impattive “Ko’d” e “I’ll Walk Away”, più le cover di “I’ll Make You Happy” (Easybeats) e “Filth Rich” (Outsiders) risultano essere gli episodi più riusciti del disco.
Molto più oscuro è invece il sound dei Priests, quartetto dello Stato di New York che, con “Tell Tales”, giunge alla seconda prova lunga dopo un omonimo album d’esordio risalente al 2000.
Per questo primo disco targato Get Hip, il quartetto americano ha voluto esprimersi al meglio delle proprie possibilità, ingaggiando un mago della consolle come Tim Kerr. E il risultato non si è fatto attendere. Con un tiro sonoro al tempo stesso aggressivo e ipnotico, hanno dato vita a un viaggio musicale lungo quaranta minuti. Chitarre taglienti e fuzzate, un organo decisamente psichedelico, una sezione ritmica tribale e una voce graffiante al punto giusto rendono la miscela della band il perfetto punto di incontro tra i Fuzztones, i Doors e i Seeds. Basta ascoltare la cavalcata finale di “Take What You Bring” e l’incubo lisergico di “Wayward Waltz” per essere trascinati nell’universo musicale dei Priests. Eccellenti.
Tra le “next-big-thing” dell’attuale scena scandinava e tra le ultime acquisizioni di casa Get Hip ci sono gli svedesi Mainliners. Il loro debut-album “Bring On The Sweetlife” è un disco vitale ed energico. Attraverso un pugno di canzoni, dodici per l’esattezza, il quintetto di Stoccolma passa in rassegna l’universo rock’n’roll, con digressioni 60’s pop à la Kinks, un versante arrabbiato e incisivo, e un retrogusto glam in alcuni brani. Su tutti la garagistica “She’s An Overdose” e l’impattiva “Robber Of Your Soul”.
E’ invece puro rock’n’roll di strada, senza fronzoli, quello dei Bamboo Kids, terzetto newyorkese in pista dal 2001. Registrato in soli tre giorni, il loro omonimo debut-album ci ha messo più di tre anni per venire alla luce. Nel frattempo la band ha saputo costruirsi una solida reputazione dal vivo, suonando da una parte all’altra dell’Oceano. Con influenze che vanno dai Ramones a Johnny Thunders passando per gli Stones, i Bamboo Kids sono la risposta ‘real rock’n’roll’ della Grande Mela ai fighetti Strokes. Le loro canzoni parlano di sbronze, scopate nei cessi di club di second’ordine e della sopravvivenza in una metropoli come New York: il mix perfetto di arte e delinquenza. Le sfrontate “Caught In NYC” e “She Got Off”, assieme all’ipnotica “Good Boy”, sono le migliori del lotto.
Discorso diverso per gli High School Sweethearts: quello che trasuda dalle quindici canzoni di “Heels’n’Wheels” è guitar-pop intriso di organo Farfisa, spigliatissimo e dall’impeccabile tiro melodico. Il sestetto del New Jersey in questa seconda prova lunga non sbaglia un colpo: mescolando melodie pop con un chitarrismo esuberante, a tratti rock’n’roll (vedi “Cherry Hi-Way”), colpisce dritto nel segno, regalandoci un’ora di divertimento sfrenato e belle canzoni, solari ed energetiche.
Sonorità abbastanza inconsuete per la label di Pittsburgh sono invece contenute in “Monday Morning Smile”, debutto degli SleepyKid, nuovo progetto dell’ex leader dei Revelers, Andrei Cuturic. Le dieci canzoni del disco si allontanano in maniera evidente dall’universo musicale Get Hip: si tratta infatti di bozzetti pop, fortemente influenzati dalla lezione inglese dei medi anni ’60 (leggi: Beatles, Kinks, Small Faces), talvolta con un tiro indie. Non mancano episodi degni di nota, su tutti l’iniziale “Lift My Head”, ma “Monday Morning Smile” è un disco su cui si può tranquillamente sorvolare.
Non vanno invece dimenticati due album usciti sul finire dello scorso anno e decisamente ispirati: l’esordio delle Sirens e soprattutto la seconda prova lunga dei favolosi Paybacks, entrambi provenienti dalla Motor City. Le Sirens sono un gruppo di quattro belle ragazze, guidato dalla cantante Muffy Kroha (sorella di Dan, chitarrista di Demolition Doll Rods e dei leggendari Gories) e suonano un rock’n’roll quadrato e molto glam. C’è chi le descrive come l’incontro di Shangri-Las e Black Sabbath e bisogna ammettere che non si sbaglia di molto. Questo omonimo disco di debutto le vede impegnate in una serie di cover – ben dodici – che vanno da Gary Glitter ad Ike Turner, passando per Suzi Quatro e Roky Erickson. L’uso delle voci à la “girl groups” e un impianto sonoro di rara potenza ne descrivono la cifra stilistica. Ed è proprio quando il primo elemento a prendere il sopravvento – come in “I’ve Got To Use My Imagination” – che le quattro sirene di Detroit raggiungono i risultati migliori.
Discorso a parte per i Paybacks, guidati dalla biondissima e rochissima Wendy Case (già al timone degli ottimi Ten High, qualche anno fa). Il quartetto della Motor City, già artefice dell’ottimo debutto “Knock Loud” del 2002, ritorna con un disco esemplare per impatto e forza comunicativa. “Harder and Harder” è un disco di grande rock’n’roll: una ritmica pulsante, una chitarra che spara riff graffianti a ripetizione e la voce al vetriolo di una Wendy Case strepitosa iniettano di energia esplosiva gli undici brani del disco. “When I’m Gone”, “Me”, “Today & Everyday” e soprattutto la devastante “Scotch Love” rappresentano le vette creative di un album che merita di essere consumato a furia di ascolti.
Autore: Roberto Calabrò
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