Alzi la mano chi credeva che un gruppo emerso nel lontano 1981, cantando brani (“Just Can’t Get Enough”, “New Life”, “Dreaming Of Me”) squisitamente (tecno)pop, sarebbe stato capace di resistere all’usura del tempo, crescendo assai sotto il punto di vista stilistico, tanto da diventare uno dei più grandi gruppi indipendenti della storia moderna. Problemi di droga, crisi personali, abbandoni repentini (il quarto uomo, mr Alan Wilder) sono stati il prezzo da pagare per cinquanta milioni e oltre di dischi venduti su scala internazionale. Entrare nella “major league” di U2, Rem, ecc. non è stata un’operazione indolore né tanto meno esente da concessioni al mantenimento dello “status simbol”. Eppure, a tutt’oggi, nei loro momenti migliori i Depeche Mode rimangono degli artisti credibili e non delle mere icone di un glorioso passato che non tornerà più. Prova ne sia che il loro nuovo album, “Plaiyng The Angel”, a giorni nei negozi, è opera di tutto rispetto:
La genesi di “Plaiyng The Angel” Martin Gore, Dave Gahan e Andy Fletcher non sono mai stati una band particolarmente prolifica, tranne ad inizio carriera, per ovvie ragioni di “creatività giovanile” e voglia di affermazione. Fermo dal 2001, quando uscì, “Exciter”, il loro penultimo album, il trio inglese, lo scorso anno, si è ritrovato per porre le basi al nuovo lavoro.
(Dave Gahan) “E’ andato tutto bene. Ci siamo rivisti alla fine del 2004, ascoltando i brani che ognuno aveva composto e decidendo di prendere Ben Hillier come produttore. Ben ha portato una grossa carica di entusiasmo, un fattore che si è rivelato decisivo nelle registrazioni dell’album. A Gennaio, dopo due settimane che eravamo in studio assieme a lui, ci siamo resi conto che eravamo sulla strada giusta….Abbiamo portato con noi delle canzoni già finite e non dei semplici abbozzi di idee. Avvertivamo di star facendo un nuovo archetipo di musica per noi, pur usando una strumentazione, comprendente synth analogici, strumenti acustici e campionamenti, che ci è abbastanza usuale“.
Due songwriter sono meglio di uno?
L’organizzazione interna del trio di Basildon per lungo tempo ha visto Gore essere il compositore principale della band, Dave Gahan la “voce” ed il fulcro delle esibizioni dal vivo e Fletcher colui che si occupava principalmente delle questioni manageriali. Fintanto che anche Wilder ha fatto parte del ensemble inglese, a lui si devono le evoluzioni sonore dei DM. Con la sua dipartita, tale aspetto è stato curato dai vai produttori che si sono alternati nel lavorare con i nostri: Tim Simenon aka Bomb The Bass per “Ultra” del 1997 e Mark Bell in occasione di “Exciter” del 2001. Stavolta è toccato al nuovo producer imprimere il suo marchio.
(Martin Gore) “Siamo rimasti molto sorpresi nel momento in cui, il primo giorno in studio, Ben Hillier si presentò con una quantità infinita di synth analogici. Questo ha indirizzato il nostro lavoro, anche se siamo a conoscenza delle ultime novità e usiamo molto i sintetizzatori virtuali, come il Reactor, ad esempio“.
Inoltre, alla soglia dei quarant’anni, il buon Dave Gahan ha scoperto di avere anch’egli la vocazione del compositore, pubblicando addirittura un album nel 2003, “Paper Monster”, di discreta fattura. Proprio ciò ha provocato una certa frizione all’interno dei DM, dato che Gahan ha imposto che sul nuovo disco vi fossero tre suoi brani (“I Want It All”, “Nothing’s Impossibile” e la notevole “Suffer Well”). (D.G.) “Io scrivo semplicemente canzoni per me e, ogni volta che accade, non ho mai mente che uso ne farò. Pure Daniel Miller (Il boss della Mute records, l’etichetta che da sempre marchia i dischi dei DM, ndr.) mi ha chiesto se ci fosse una distinzione in origine, quando ha ascoltato i miei demos. Allorché si entra in studio di registrazione, una canzone prende un altro genere di vita, poiché altre persone partecipano alla sua stesura finale. Il “mood” di un brano può prendere strade differenti a seconda di chi la tratta. Io e Martin nella composizione dei pezzi prendiamo spunto da motivi introspettivi e dai nostri disagi, che non pregiudicano mai la nostra voglia di vivere“.
Dal canto suo, invece, Martin Gore ha per l’ennesima volta dimostrato il suo amore per l’elettronica, specie il tanto vituperato glitch (una constatazione che emerge anche nel suo secondo album di cover, “Counterfeit 2”, datato 2003). Sul piano lirico, i suoi testi continuano ad essere incentrati su di un certo esistenzialismo dalle venature malinconiche, che ben si confà al concetto di ballata, un tratto che, ad esempio, traspare bene nel primo singolo dei DM, “Precious”, sorta di amara riflessione sul divorzio.
(Martin Gore) “Ho sempre avuto la tendenza a trattare temi che riguardano le relazioni tra persone o esperienze che mi toccano da vicino…mi riesce meglio“. Sulla perenne accusa di essere degli effimeri cantori del dolore umano, il diretto interessato non concorda: (M.G.) “Non ho mai considerato i Depeche Mode troppo dark. Portiamo avanti anche un elemento di speranza e credo che ciò si evinca dalla nostra musica…..Dave dice che ho vissuto venticinque anni di carriera, sfruttando un solo soggetto. Non concordo: sono due!”
Like a Rolling Stone(s)
Difficile non cadere nella routine se si arriva alla terza decade di produzione discografica. I vari tentativi di rendere ancora appetibile e significativa la propria proposta musicale, non sono quasi mai caduti nell’ovvietà, nel caso dei Depeche Mode. L’aver prestato un attento orecchio alle evoluzioni in ambito elettronico, sia in veste di innovatori che in quello di semplici “manipolatori”, pur svolgendosi in un ambito pop, ha comunque consentito ai Depeche Mode di non sonnecchiare eccessivamente sugli allori raggiunti. Pure il flirt col rock, avvenuto principalmente con “Songs Of Faith And Devotion” nel 1993, riletto a ritroso, ha avuto una sua ragion d’essere.
(Andy Fletcher) “Abbiamo avuto una grande carriera in 25 anni e non la cambieremmo con nulla. C’è stata una parentesi, nella quale, le cose sembravano non andar bene, ma per il resto non ci possiamo lamentare. Dopo 25 anni, certo siamo piu’ vecchi…ma ci avviamo diventare i nuovi Rolling Stones!“.
Più prosaicamente, al di là degli indiscussi meriti artistici dei nostri, se non si trovano dei riscontri in quanto a gradimento e dischi smerciati, risulta assai arduo portare avanti un’attività come quella del musicista. (M.G.) “Credo che sia mancato il fattore responsabile dello scioglimento delle band: dover fare i conti col fallimento, che non noi abbiamo mai avuto..i nostri dischi hanno sempre venduto…il non aver mai affrontato quest’evenienza sicuramente, alla fine, ci ha tenuto insieme“. E detto da uno che qualche anno addietro concepì versi come “…It’s a competitive world…Everything counts in large amounts”, c’è da credergli….
Autore: Luca M. Assante
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