Napoli. 26 settembre. Wim Wenders è a Napoli. L’incontro con il regista e la proiezione in anteprima del suo “Non Bussare alla Mia Porta – Don’t Come Knocking’” è l’evento di apertura dell’ ‘Ottobre dell’Architettura’, organizzato dalla Fondazione ‘Annali dell’Architettura e delle Città’. E’ l’occasione per la consegna del primo ‘Praemium Extraordinarium’, assegnato al regista per il rapporto che instaura con le città che sceglie di raccontare nei suoi film. Ma c’è di più. L’incontro con gli studenti si tiene in mattinata nell’Aula Magna della Federico II di Napoli. Un appuntamento che ha tutta l’aria di un’occasione ufficiale si trasforma, in poco tempo, in una conversazione in cui il regista parla di se stesso.
Così Wenders ci racconta delle storie. Ad ogni domanda risponde con precisione, cerca le parole, i ricordi, le immagini più appropriate, quelle che spiegano meglio, che conosce meglio perché fanno parte della sua vita o che lasciano spazio all’immaginazione, quella dalla quale nascono i suoi film.
Immaginare non significa “inventare”, Wenders si sente più un artigiano che un tecnico, una persona che possiede l’abilità di ‘trovare’ delle cose più che di ‘inventarle’. E quelle ‘cose’ trovate, le immagini, e le persone con le loro emozioni vanno a riempire gli ‘spazi vuoti’ di cui è fatto il mondo, come gli spazi vuoti tra una riga e l’altra dei libri che ha letto e che fin da bambino colpivano il suo immaginario, tanto da attribuire loro una materialità.
Wenders ‘trova’ le città e poi la storia che può essere raccontata. Parla delle città che lo affascinano, quelle che possiedono un porto, aperte verso il mare, come Lisbona, Tokyo, Sidney, Napoli, che sono una promessa, quella di poter trasportare se stessi ovunque, il mare aperto e il mondo di fuori. Quelle da cui vuoi scappare, perché alla domanda “dov’è la mia casa” riesci sempre a rispondere e la risposta è semplice “sulla strada”, ti dici, “sulla strada è un tale piacere” riesci a sentirti a casa in tanti posti…ma poi finisce che senti la nostalgia di tutti e la tua lingua è il cammino che segui per ritornare lì da dove eri partito. Quelle in cui ritorni. A Berlino Wenders è tornato e ha trovato riempiti quegli spazi vuoti che raccontavano una città ferita, una città che mostrava le sue cicatrici. E’ caduto il muro e due popoli diversi, anche se vivevano sotto lo stesso cielo, hanno cercato di diventarne uno solo. La città è cresciuta. E ha riempito gli spazi. Ed è diventata simile alle altre. Oggi diventa sempre più raro arrivare in un luogo dove tutto ci appare “unico”; molti luoghi sono simili a tanti altri e tutto è più veloce. Forse un modo privilegiato di viaggiare, il più rivoluzionario sarebbe quello di camminare, andare, con lentezza, e trovare ciò che pensavi non esistesse più.
E poi c’è la musica. Che non è ingrediente “da aggiungere”, è punto di partenza, l’origine di un film e non ciò che lo completa. ‘La musica è il vento che soffia negli spazi vuoti che lascio tra le immagini’. La libertà che inserisci tra le righe.
E’ questo il mestiere di regista, non solo immagini, il cinema non è pittura, cinema significa scolpire il tempo, costruire piccole unità di tempo fatte di suggestioni che vengono dall’esperienza. E significa costruire qualcosa di utile, in cui gli altri possano entrare. Il cinema invita le persone ad entrare in uno spazio in movimento, a disimparare ciò che si conosce e a eliminare tutti i pregiudizi che fino ad allora ci appartenevano. Può sembrare che la testa esploda, quando sei lì, seduto in prima fila e hai gli occhi spalancati, ma è il rischio che si corre – conclude Wenders – per abitare un mondo diverso, il mondo dell’immaginazione.
E non poteva trovare parole migliori.
Autore: Alma Esposito
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