Due serate ed una giornata all’insegna della buona musica, dello scambio di opinioni e di incontri sull’ambiente, cosiddetto “alternativo” della musica indipendente.
Miami! E qui si gioca alla grande, con le parole. Prima ti viene in mente la città americana e ti immagini mare e palme, qui di alberi ci sono prevalentemente pini (credo, non sono esperta) ed acqua non se ne vede, solo tanta birra.
Poi il nome di questa manifestazione rimanda alla fatidica domanda da innamorati: mi ami? In effetti è anche scritto staccato e nel logo ci sono due persone che si baciano.
MI aMi? Si, decisamente.
Adoro la musica “indie”, ultimamente anche quella italica che offre ottimi spunti. Prima serata, scappo via dall’ufficio. Prendo il treno ed arrivo al luogo dove si tiene questo festival di musica indipendente, all’estrema periferia nord-ovest della città, quasi al confine comunale. Con il treno suburbano dal centro non ci vuole che una decina di minuti ad arrivare, con altri mezzi pubblici è decisamente più scomodo. Perché scegliere il “Paolo Pini”, ex ospedale psichiatrico, come luogo di ritrovo? Forse perché la musica indipendente viene ancora considerata “ai limiti della società” qualcosa di sotterraneo, di clandestino, da relegare, da isolare, come dei pazzi appunto. Scendo dal treno e non sembra assolutamente di essere a Milano. Alberi, prati, la stazione quasi di campagna, il passaggio al livello. Cammini per cinque minuti lungo un muro alto e minaccioso (il muro del recinto del manicomio) ed arrivi ad un grande arco: finalmente si entra! Si pagano cinque euro, saliranno a sette il sabato sera tra le 22.30 e le 3.30, bisogna pur cercare di recuperare i costi dell’organizzazione.
Entrando ti ritrovi in un parco, colpisce subito quella che doveva essere la chiesa dell’ospedale. Siamo arrivati nel posto giusto? Certo! Ci troviamo di tutto, dalle coppiette di anziani che passeggiano, alle persone di mezza età con gelato, fino ai bambini che ballano con gli echi della musica, passando per gli ultimi “ospiti” della struttura ospedaliera. La musica unisce le masse. Ci si incammina verso i palchi, verso gli stands, seguendo la scia dei suoni che provengono dal cuore del parco; quello che dapprima mi paiono esercitazioni militari si rivelano essere invece batteristi che provano gli strumenti, pestando sulla grancassa, come fossero impazziti. Si prosegue per i vialetti e ci si imbatte nel primo palco, quello acustico. Sono da poco passate le 18, qui a Milano è l’ora dell’aperitivo. Possiamo gustarci quello che nel programma viene denominato “aperitivo sonoro a base di musicisti intimisti” come FABRIZIO COPPOLA, un cantante dalle sonorità semplici ma oneste e sincere, come un buon vino da gustare a tavola con gli amici per una serata spensierata, è solo un rock n’ roll tranquillo, senza fronzoli, “but we like it”.
Ci sono anche i KAMA, contro le istituzioni della musica, contro le major, le regole del mercato e la burocrazia che, come affermano, “hanno ucciso la musica più dei masterizzatori”.
Infine ALBERTO MOTTA, cantautore lo-fi strascicato e tormentato forse un po’ troppo spaesato.
Proseguendo per il viale, costellato di lanterne rosse che illuminano la strada, si arriva al palco principale. Per arrivarci si passa attraverso i tavoli espositivi delle piccole etichette discografiche e delle riviste specializzate del settore. E’ venerdì sera e la gente è ancora poca, mi aspettavo decisamente più affluenza. Si inizia a suonare sul serio, si ascoltano i gruppi sul palco mentre a poca distanza, tra i banchetti, si vedono persone parlare, discutere, scambiarsi pareri. Si incontrano addetti al settore, persone che lavorano nell’ambiente, veri appassionati del genere e curiosi. Questa prima edizione del MI aMi si sta rivelando parecchio interessante. La serata, che ha visto i nomi del calibro di VALENTINA DORME, MARIPOSA termina con PAOLO BENVEGNÙ, grande artista dalle grandi liriche, composizioni armoniose, di una dolcezza infinita.
Sabato, si inizia a suonare fin dal primo pomeriggio. In queste giornate, che a Milano iniziano ad essere troppo calde e troppo afose, significa il momento peggiore per stare all’aperto e muoversi, figuriamoci per suonare su un palco.
Si ricomincia da capo!
Ancora tanta bella musica. Un’occasione irripetibile per conoscersi e fare nuovi progetti. Unica nota dolente, il luogo, forse un po’ dispersivo per quanto bello e d’atmosfera. Troppo poche le indicazioni, sembrava di dover seguire degli indizi per fare la caccia al tesoro per capire dove si trovasse il palco principale, probabilmente sono gli svantaggi della prima volta, della formula non ancora collaudata. I gruppi che hanno suonato sono stati bravi, alcuni magari meno, ma la voglia di suonare e di farsi sentire c’era ed è quella che conta in queste occasioni.
Mettersi in gioco fino alla fine, mostrare la grinta, per far apprezzare la propria musica.
I banchetti erano in realtà panche e tavoli come quelli delle feste paesane (per fare festa in un ospedale?) carichi di merce: Cd, magliette, riviste, volantini e gadgets vari.
Sabato sera il festival si è finalmente animato, il prato era pieno di gente seduta per terra a godere della leggera brezza che spirava e portava nuove sonorità.
Un paio di artisti che ho ascoltato lì e che consiglio caldamente:
gli “OFFLAGA DISCO PAX”, che ho apprezzato molto, tre emiliani, nostalgici degli anni 70-80, del socialismo reale, di un’epoca che non tornerà più come le esperienze della loro giovinezza a cui fanno continuo riferimento nei testi delle loro canzoni.
Più raccontati che cantati, i loro pezzi sono una magnifica occasione per rivisitare e consolidare i propri ricordi.
Interessanti i “REDWORMS’ FARM”, mi sono piaciuti, anche se la loro performance non era esattamente perfetta ma sono stati fulminanti, delle schegge folli.
Padovani, post rock, nervosi, quasi isterici ma trascinanti e d’impatto anche visivo nelle loro evoluzioni sul palco.
Seguono “ONE DIMENSIONAL MAN”, performance sottotono, solitamente bravi dal vivo, il pubblico ha risposto un po’ freddamente alla loro esibizione, peccato perché le aspettative c’erano e la loro musica non manca mai di stile.
Aspettative invece decisamente deluse per l’ultimo gruppo salito sul palco, quando ormai il pubblico era al massimo delle presenze e dell’attenzione. I “TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI”, che di allegro avevano ben poco, forse dovrebbero cambiare nome in “Tre ragazzi morti” e basta; l’unica musica poco originale tra quelle sentite, da svecchiare insomma. Per non parlare dei testi delle canzoni oramai obsolete.
Il Mi Ami è proseguito fino all’alba con della buona musica da ballare, una serie di Dj set internazionale.
Una bella esperienza, questa prima edizione, sicuramente da ripetere e da migliorare in certi aspetti organizzativi.
La luna, che splendeva crescendo alta da sotto il palco principale e le stelle, erano lì come a voler essere di buon auspicio. Volevano per una volta non essere lo spettacolo della notte, volevano assistere allo spettacolo delle note.
Autore: Paola Cornacchiola
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