Partito dagli Stati Uniti negli anni 50, e perfezionatosi poi in Gran Bretagna all’inizio del decennio successivo, come un virus, il rock’n’roll si diffuse velocissimo e sotterraneo, negli anni 60, da un Paese all’altro, lungo tutto il Pianeta, colorandosi in ogni luogo in cui giungeva, di suoni, strumenti e linguaggi locali, i più vari possibili. E straordinarie testimonianze, quasi archeologiche, di quel nascituro fenomeno ribelle, giovanile ed anticonformista se ne riscoprono, oggi, un po’ ovunque. Basta cercare bene nei negozietti dell’usato, nelle soffitte, nelle collezioni di vinili, negli archivi delle piccole case discografiche dell’epoca; ed è ciò che stanno facendo, da 15 anni circa, gli appassionati di tutto il Mondo, dandosi da fare per riportare alla luce, e diffondere in tutto il Mondo coi moderni e veloci supporti del CD e dell’mp3, straordinarie musiche nate su vinile tanto tempo fa, andate dimenticate per decenni spesso, in alcuni Paesi in Via di Sviluppo, anche perché malviste e censurate a suo tempo da regimi politici nazionalisti, religiosi e conservatori.
Dopo le panoramiche dei mesi scorsi sul fenomeno in Turchia (www.freakout-online.com/primopiano.aspx?idprimopiano=55) e in Cambogia (www.freakout-online.com/special.aspx?idspecial=60), la recente pubblicazione di un CD ci offre lo spunto per approfondire una terza fondamentale scena beat, stavolta latinoamericana: voliamo dunque in Messico, del resto giusto a due passi dalla California, utero di ogni psichedelia, per partecipare a: ‘La Noche de los Hippies’, una pubblicazione italiana, di una fantomatica etichetta di Ascoli Piceno: Cicodelico rec.
Prima, però, un’atra premessa è doverosa: qualcuno potrebbe trovare, in queste operazioni di ristampa, conferme anche neocolonialiste ed imperialiste, che mirano a sottolineare come negli anni 60, i giovani dei vari Paesi del Mondo, specialmente di quelli poveri, implicitamente riconoscessero la superiorità del modello artistico occidentale, nella fattispecie del rock’n’roll, scimmiottandolo pateticamente. Ma è un’interpretazione molto maliziosa, antistorica, e non crediamo sia così, piuttosto troviamo irritante che, molto difficilmente, chi oggi ripubblica queste canzoni, si preoccupi di pagare royalties e diritti d’autore a qualcuno: si tratta quasi sempre di anonimi bootleg semiclandestini.
Brevemente, ripercorriamo la storia del rock’n’roll messicano: dobbiamo dire che, esattamente come in Italia, dove il rock’n’roll ce lo portarono alla fine degli anni 50 alcuni giovani artisti che poco avevano a che fare con quell’attitudine, ma che erano attratti principalmente dal suo carattere anticonformista, dalla novità, dalla moda, insomma – Celentano, Jannacci, Gaber, Little Tony – anche in Messico le primissime canzoni più movimentate compaiono sulla scena locale alla fine dei 50, ad opera di cantanti dal più conservatore passato tropicalista, tra i quali Gloria Ríos, che interpretava, badate bene: in spagnolo, i primi successi di Elvis Presley, Buddy Holly, Gene Vincent e Bill Halley & his Comets. Ma è il 1960, l’anno magico in cui nel Paese delle tortillas escono i primi 45 giri ed LP di band pioniere, con nomi tipo Los Black Jeans, Las Camisas Negras, Los Hooligans, Los Boppers, Los Teen Tops, e soprattutto i fondamentali Pepe y sus Locos del Ritmo, i quali, già sulla copertina del disco d’esordio del 1960, si autoproclamarono: “el primer auténtico grupo rocanrolero en México“. I Locos del Ritmo erano un quintetto formato da Toño de la Villa, Jesús González, José Negrete, Rafael Acosta ed Alvaro González, nel 1958 avevano vinto un concorso musicale alla televisione messicana con un folle ritmo intitolato, pensate: ‘Yo no soy un Rebelde’; il premio era consistito nell’opportunità di esibirsi negli USA, alla televisione, per poi tornare in Patria ed incidere un LP, pubblicato nel 1960, che fece letteralmente esplodere il fenomeno in Messico. Anche le orchestre, da sempre importantissime nella musica messicana – ancor oggi i fiati sono gli strumenti principali nella musica di tutto il Centroamerica – fecero la loro parte, togliendo lo smoking e riconvertendosi al nuovo ritmo giunto dagli USA. Intanto arrivavano nei negozi del Paese, per quei giovani che potevano permetterseli, i primi esemplari di chitarra Fender Stratocaster, di batteria Slingerland, i bassi elettrici Kay, e gli amplificatori Marshall. La seconda ondata di band messicane parte dal successo commerciale che il fenomeno stava avendo tra i giovani messicani, che cominciano a rifarsi da un lato al look Carnaby Street e ai suoni snob che nel frattempo giungevano da Londra, dall’altro a quelli più ruspanti, blues e psichedelici della scena di San Francisco Los Angeles. Ed è questo quadretto molto variegato, ma ancora spensierato, ingenuo, che, appunto, la ‘La Noche de los Hippies’ fotografa.
Il sottotitolo del CD ‘La Noche de los Hippies’, in copertina, recita: ‘65-‘70 Punk à la Mexicana’, ed è tutto un programma, ma aggiungiamo che all’urgenza, e ai ritmi aggressivi di 3/4 delle 20 canzoni, si vanno a sommare qui dentro anche tracce psichedeliche, beat, ye-ye e rhythm’n’blues, tutte condite da grande creatività pop e trovate spesso originali, se non altro per l’utilizzo della lingua spagnola, che dà un colore inedito anche alle 4-5 cover di più famosi brani americani, appunto qui puntualmente tradotti in spagnolo: ci sono ad esempio i Los Reos che fanno una loro versione irosa di ‘Get off of my Cloud’, canzone di “non-amore” dei Rolling Stones e la intitolano ovviamente ‘Bàjate de mi Nube’, mentre i Los Genios coverizzano ‘Time won’t let me’ degli Outsiders, facendola diventare ‘No Puedo Esperar’, ed i Los 7 Days, alle prese col plagio dell’immortale riff di ‘Louie Louie’ cantata in America dai Kingsmen, su cui costruiscono un’altra ballabile variazione shakerata, e poi La Maquina Del Sonido, cinque ragazzi completamente geniali, i migliori del lotto, qui presenti con 3 canzoni, che partono traducendo in spagnolo e rendendo ancor più allucinata ‘Fire’ di The Crazy World of Arthur Brown, che diventa ‘Fuego’, appunto, e poi con un intreccio di suoni fuzz e farfisa coverizzano ‘Perdì mi Nube’ di Hoppi & the Beau Heems, terminando con un’impressionante e psichedelica canzone autografa intitolata ‘No Quiero ya Volver’. E poi, beh, ci sono tutti gli altri pezzi, completamente originali, anch’essi tutti in lingua spagnola, tra i quali abbondano perle preziose, e val la pena ricordare l’ipnotico pianoforte di ‘Mi Mami Dijo’ dei Los Monjes, la spiritata ‘Mujer Jitana’ dei Los Blue Kings, l’attitudine vocale black stile Platters dei Los Monstruos in ‘Por Favor’ o l’entusiasmo black dei Los American’s in ‘La Fiesta’, che ricordano il primissimo Sly Stone. Le tante tracce d’argomento festaiolo, poi, ci
spingono a ricordare quanto adorabile sia la canzone beat di spensieratezza e divertimento, e ballo del mattone: Las Moskas con ‘Vamos a Nadar’, Los 4 Mosqueteros di ‘Algo ha Pasado’, Las Moscas di ‘La Moska’…
Straordinaria sensazione, quella di riportare alla luce piccole band dimenticate, magari poco apprezzate anche all’epoca, ma ora al centro di un’attenzione quasi morbosa, da parte di tanti appassionati in giro per il Mondo: ecco, finalmente, un lato positivo della globalizzazione. Un carattere tipico della beat generation chicana era la voglia di sovvertire le regole, ma anche di giocare, di sbarazzarsi dell’opprimente modello genitoriale, nonchè della cupa cultura cristiana, particolarmente oppressiva, in America Latina ancor oggi. C’è un’ingenuità disarmante, in alcuni testi di queste canzoni, come in ‘La Noche’, cantata dai Los Crazy Bird’s, mentre altri testi cercavano di alludere, con una serie di metafore, ad un argomento tabù quale il sesso: i La Libre Expresion in ‘Como yo’,ad esempio, in un Paese molto conservatore come il Messico dei 60.
Il fenomeno del rock’n’roll continuò dunque a crescere nel Paese centroamericano fino al 1970 quando, sull’onda dell’entusiasmo per le notizie che giungevano dalla tre giorni di Woodstock, alcuni giovani appassionati decisero di realizzare anch’essi un Festival di pace e amore: e fu il “Rock y Ruedas de Avándaro“, che si rivelò un fallimento, in realtà, poiché interrotto dalle forze dell’ordine, quando il cantante di una band, i Peace and Love, intonò in diretta radiofonica una canzone intitolata “Marihuana”.
Pare ci fossero 300.000 giovani, al festival di Avàndaro, ma proprio quel giorno cominciò nel Paese un aspro dibattito sulla corruzione che il rock poteva portare tra i giovani messicani. Screditata da ogni parte, ed impossibilitata a difendersi, alla cultura del rock, come sempre accade in questi casi, non restò altro da fare che rifugiarsi nell’underground, e nacque nel Paese una interessante ma poco conosciuta scena hard rock psichedelica e progressive, il c.d. movimento degli “Hoyos Funkies“, semiclandestino, fondamentalmente universitario, metropolitano, che s’alimentava di piccoli concerti lontani dall’attenzione di tv, giornali e radio, in cui presto iniziarono a circolare acidi e droghe leggere e pesanti: il rock era cambiato per sempre anche in Messico, mentre negli USA morivano Jim Morrison, Janis Joplin e Jimi Hendrix.
La scaletta del CD ‘La Noche de los Hippies’:
1. Las Moskas – Vamos A Nadar
2. Los Blue Kings – Mujer Jitana
3. Los 4 Mosqueteros – Algo Ah Pasado
4. La Libre Expresion – Como yo
5. La Maquina Del Sonido – Perdì Mi Nube
6. Los Reos – Bajate De Mi Nube
7. Los Strwck – Go Go 70
8. Los Crazy Bird’s – La Noche
9. Los Genios – No Puedo Esperar
10. Los 7 Days – A Bailar Con Los Seven Days
11. Las Moskas – Prefiero Robar
12. Los American’s – La Fiesta
13. Los Monjes – Mi Mami Diljo
14. La Maquina Del Sonido – Fuego
15. Los Johnny Jets – Deja De Florar
16. Los Monstruos – Por Favor
17. Los Strwck – Vanidosa
18. Las Moscas – La Moska
19. La Maquina Del Sonido – No Quiero Ya Volver
20. Los Barrocks – La Noche De Los Hippies.
Autore: Fausto Turi