Chi si aspettava che una piccola etichetta come la Sub Pop arrivasse a compiere 20 anni?
La label di band straordinarie come Nirvana, Soundgarden e Mudhoney, tutte band incredibili. Band i cui membri, all’occorrenza, indossavano camicie di flanella. Ve lo ricordate il grunge?
Mentre buona parte dell’industria musicale ha tentato disperatamente di rallentare il declino delle vendite, Sub Pop ha continuato a diffondere musica lavorando con modelli di business non convenzionali.
Furono i Soundgarden a far avvicinare i fondatori della Sub Pop, Bruce Pavitt e Jonathan Poneman (nella prima foto), a Seattle nel 1987. Poneman era promoter e DJ della stazione radio pubblica KCMU, Pavitt portava scritta in faccia la sua passione per il rock ed il punk del nord est del paese. Dice di lui Mark Arm, cantante e chitarrista di Mudhoney, Green River e Monkeywrench: “Aveva sempre qualcosa sulla punta della lingua che lo rendeva entusiasta”.
A quel punto, Pavitt aveva già utilizzato il nome Sub Pop per alcuni progetti: una fanzine con cassette allegate, il suo programma su KCMU e una rubrica sulla rivista musicale locale The Rocket.
Aveva anche fatto uscire un album chiamato Sub Pop 100 che includeva indie band come Sonic Youth ma anche punk band come Wipers e U-Men. Quando Poneman si offrì di finanziare Screaming Life dei Soundgarden, lui e Pavitt divennero soci. Lasciarono le loro precedenti occupazioni ed ad aprile del ‘88 si trasferirono in un minuscolo ufficio nel Terminal Sales Building di Seattle. Verso la fine degli anni ’80 Microsoft doveva ancora conquistare il mondo dei computer e Starbucks non aveva ancora aperto ad ogni angolo della strada. Seattle era una pozza d’acqua stagnante per per l’industria musicale.
Pavitt e Poneman erano seriamente intenzionati a creare un marchio che rivaleggiasse con etichette classiche come Motown o Blue Note.
Molte delle prime uscite avevano un look simile: una banda nera attraverso la parte alta del singolo, col nome del gruppo seguito dal nome del disco. Spesso le copertine ospitavano le fotografie, movimentate ed iconiche, di Charles Peterson.
I credits degli album e dei singoli citavano spesso solo Peterson ed il produttore Jack Endino. Lesinare sul testo, diceva Pavitt, facilitava la connessione viscerale al disco, aggiungeva un che di misterioso e affermava i due come fotografo e produttore ufficiali dell’etichetta.
Poi c’era il logo. Il marchio era un ingrediente chiave nel creare l’immagine dell’etichetta.
Crudo e semplice, con un “SUB” bianco su fondo nero ed un “POP” nero su fondo bianco.
Infatti, l’approccio di Sub Pop era teso all’affermazione del logo in maniera inflessibile.
SP attirò l’attenzione della stampa musicale inglese, riviste come Melody Maker e New Music Express erano totalmente devote a Sub Pop e questo spinse l’etichetta a strategie di marketing esagerate.
La label realizzò Bleach, il primo album dei Nirvana. Thurston Moore dei Sonic Youth supportava sia Nirvana che Mudhoney (nella seconda foto) nelle sue interviste. Le Band incominciavano a fare il tutto esaurito al Moore Theater di Seattle. Nel frattempo uscivano i dischi degli heavy rockers Tad, degli offensivi Dwarves, delle femministe L7.
Sfortunatamente il successo artistico della Sub Pop era accompagnato da problemi finanziari. In breve: fare in modo che le band fossero sulla bocca di tutti costava un sacco di soldi.
I licenziamenti iniziarono nella primavera del 1991: la compagnia passò da uno staff di 25 persone a 5.
I Nirvana salvarono l’etichetta, con il loro secondo album Nevermind lasciarono l’etichetta madre per passare alla Geffen. Nel settembre del 1991, Nevermind aveva venduto 4 milioni di copie. Sub Pop ottenne una buonuscita per il contratto dei Nirvana oltre a delle royalties sui futuri album e questo aiutò l’etichetta a uscire dal rosso per tornare ad avere bilanci positivi.
Nel gennaio 1995, Sub Pop formulò un accordo con la Warner Bros. In cambio di un’immissione di denaro sonante, la Warner otteneva il 49% della Sub Pop. Così come il denaro aiutò l’etichetta a competere nel panorama post-Nirvana, portò anche dei cambiamenti che erano estranei alla cultura dell’etichetta. Verso la fine dello stesso anno Pavitt lasciò l’attività presso l’etichetta da lui fondata per metter su famiglia nelle isole Puget Sound.
L’etichetta pubblicò i primi album dei The Go (mentre il loro Jack White stava cominciando a lavorare ad una band chiamata the White Stripes…) e Zumpano (capitanati da Carl Newman, futuro fondatore dei New Pornographers), ma anche una compilation degli influenti punk australiani Radio Birdman ed evidenziando il debito nei confronti della musica definita Americana con Badlands: A Tribute to Bruce Springsteen’s Nebraska.
La terza grande onda nella storia della Sub Pop arrivò nel giugno 2001 con Oh, Inverted World di The Shins, la band finì sotto major quando due loro brani divennero parte della colonna sonora del film Garden State.
Seguirono gli album indie-pop da classifica di The Postal Service, Hot Hot Heat e CSS (nella terza foto), insieme a una sfilza di dischi modern folk di Iron & Wine e del rootsy rock dei Band of Horses.
Oggi le cose sono cambiate: quell’etichetta che dichiarava come obiettivo la conquista del mondo ha trovato un nuovo cammino sulla strada della responsabilità. Gli anticipi eccessivi per le band ed i video vengono evitati. Sub Pop lavora per rendere le sue band più autosufficienti, i tour sono formulati in modo da guadagnare, più che per essere arginati dall’etichetta, ed i budget di registrazione sono realistici in modo da fornire alle band delle percentuali anche su vendite modeste.
Nel 2007 Sub Pop ha lanciato una piccola etichetta indipendente chiamata Hardly Art, improntata all’esplorazione di territori musicali esterni al modello di mercato musicale tradizionale. Invece che incassare le royalty, le band dividono alla pari i guadagni con l’etichetta stessa. Le registrazioni rimangono di proprietà dei gruppi che le danno in licenza ad Hardly Art per la pubblicazione ed ogni contratto è per una uscita, non esistono contratti per più di un album.
Autore: red.
www.subpop.com