Dura la vita delle rockstar… Nel corso degli anni ‘90, Dave Gahan vocalist e front man dei Depeche Mode sembrava ormai perso nei suoi auto-compiaciuti deliri a base della stantia triade “sesso, droga e rock & roll”. Ci è mancato davvero poco, prima che anche lui sacrificasse la propria vita all’altare della vanagloria che tante vittime ha mietuto nello star system musicale. Superata questa delicata fase della sua esistenza, Gahan sembra da tempo aver rimesso la testa a posto, portando nuova linfa creativa ed interpretativa nella casa madre dei DM e, soprattutto, scoprendosi novello songwriter. Ci sono volute più di due decadi prima che l’irrequieto Dave prendesse coscienza delle proprie potenzialità d’autore di canzoni e si affrancasse dall’ingombrante peso di doversi confrontare, in questo ambito, dal compagno d’avventure Martin Gore.
Nel 2003, finalmente Gahan ha trovato la forza di portare fuori tale maturazione, pubblicando l’assai alterno “Paper Monsters”: prendendo in contropiede chi si aspettava sonorità elettroniche, vicine al gruppo da cui proveniva, nel disco egli aveva mostrato il suo malcelato amore per un crudo rock chitarristico, talvolta venato di blues, da un lato e, dall’altro, si era cimentato in una copiosa serie di insipide ballate orchestrali, denotando una certa penuria lirica. Rotto il ghiaccio, l’artista inglese ha continuato a comporre per conto suo, riuscendo ad inserire tre suoi brani autografi (fra cui l’ottimo singolo “Suffer Well”) nel recente (2005) full-lenght dei Depeche Mode, “Playing The Angel”, fatto mai verificatosi sino a quel momento.
Un’ennesima iniezione di fiducia che ha portato il nostro a voler dare un seguito alla sua opera prima. Il 22 Ottobre, infatti, verrà edito ,“Hourglass”, il secondo album da solista dell’uomo di Basildon. In questa sua nuova fatica, il tratto che emerge subito è un deciso ritorno… “al passato”. Piuttosto che cercare di discostarsi troppo dal sound “sintetico” dei DM, Gahan è tornato su i suoi passi, forse timoroso, in parte, di non deludere i fan dei Depeches, rimasti alquanto insensibili al suo debutto discografico di qualche anno fa, specie negli USA. Una parziale abiura che, comunque, stavolta almeno sembra poggiare su basi più solide.
Già la delicata partenza dell’iniziale “Saw Something”, pur riprendendo certe orchestrazioni simili a quelle presenti nei ”Mostri di Carta”, non risulta così posticciamente melensa, trovando, al contrario, un buon connubio tra pathos e liricità. Nel prosieguo della tracklist, trovano spazio momenti decisamente incalzanti come “Kingdom” (il primo estratto del nuovo disco) o l’urticante “Deeper And Deeper”, dove la plumbea voce di Gahan viene filtrata e trattata sposandosi al meglio con la marzialità degli arrangiamenti. A questo proposito, bisogna rilevare il prezioso contributo offerto da Christian Eigner (batteria) e Andrew Phillpott (programmatore e polistrumentista), entrambi, da tempo, in organico nell’entourage dei Depeche Mode. Altresì degna di nota l’ipnotica “Endless”, il cui giro di basso circuisce ed ammalia, in un crescendo assai psichedelico. Altrove, il bandolo della matassa non viene trovato. “Use You”, ad esempio, col suo andamento industrial appare poco convincente e stereotipata, simile a “Deeper And Deeper” ma non ne possiede la stessa depravata inquietudine. Per non parlare della conclusiva “Down”, ieratico pezzo da “malinconoia” a buon mercato. In pratica, nella seconda parte del programma della “Clessidra” (questo il significato letterale del termine “hourglass”) si intravede qualche passaggio a vuoto di troppo né le doti di paroliere dell’autore infondono quel senso di profondità che le musiche vorrebbero suggerire.
In un’intervista, diceva Gahan di se stesso “I can’t sing, but i’ve got soul”. Nessuno mette in dubbio che questo sia un album sentito. Il problema semmai è capire se con le sue sole gambe, egli sia in grado di essere qualcosa di completamente diverso dai Depeche Mode o una copia “in fieri” dell’originale. Per adesso, i passi in avanti compiuti, non permettono di stabilire un giudizio scevro da qualche perplessità. Se son rose, comunque, fioriranno in maniera ancor più splendente di quanto riescano a fare stentatamente adesso…
Il Ritorno di Gahan solista
L’uomo e il Padre abbandonano la Maschera da Rockstar
A vederlo quasi non lo si riconoscerebbe come il mimetico e sensuale frontman dei Depeche Mode, anima e sangue del gruppo nelle celeberrime esibizioni live. A 45 anni, Dave Gahan è padre di tre bambini e marito felice (di terze nozze), e oggi anche cantautore che si riconferma con la seconda prova solista, ‘Hourglass’ appunto. Per la presentazione del disco (prodotto con Christian Eigner e Andrew Phillpott, entrambi in forza nel marchio Depeche Mode) Gahan mette in scena il suo volto più pacifico e sereno: elegante ma non vistoso, sfuggirebbe forse ai più se lo si trovasse passeggiare in una strada “in” di una grande città, tanto sembra “normale” la sua presenza e il suo aplomb tra i giornalisti.
E’ lo stesso volto, dice il sorridente e palesemente appagato Dave, che emerge dall’album: un lavoro di pacificazione con la propria vita, di confronto con se stesso e con gli altri, un lavoro nel quale “ho potuto articolare meglio chi sono e cosa sto diventando. E’ un’esperienza catartica. In quest’album mi confronto con le persone, ne sono spaventato in genere ma adesso cerco di riscoprire un mio istinto naturale che mi spinge a liberarmi del giudizio degli altri. E poi ho avuto in passato la tendenza a usare le persone, come con l’alcool, ma questo aspetto di me non mi piace e sto cercando di cambiare”.
Si presenta in sostanza come un tentativo di riconciliarsi con la vita, soprattutto con la vita quotidiana del “qui ed ora”, libero dalla frenesia di correre sempre all’inseguimento di un senso che forse si trova nella contemplazione del presente e del momento.
Inevitabili due confronti: quello con l’album di esordio, ‘Paper Monsters’ del 2003, nel quale Gahan riconosce di aver voluto marcare di più la differenza rispetto al sound dei Depeche Mode (mentre in Hourglass le sonorità ricordano più da vicino le composizioni della band) per staccarsi e cercare una propria identità, che con Hourglass è pienamente ritrovata senza conflitti, e con “una maturazione del rapporto con la band”.
L’altro è quello appunto con il suo ruolo di vocalist e frontman del gruppo: Dave libera tutti dalle ansie quando afferma che ‘Hourglass’ non significa la fine dei Depeche Mode. “sono due cose differenti: il lavoro da solista mi aiuta a crescere anche nel rapporto con il gruppo, come dimostra l’aver composto tre pezzi per Playing the Angel, l’ultimo album della band”. E quanto siano buoni tutt’ora i rapporti fra i tre Depeche lo dimostra il fatto che si scambiano reciprocamente i complimenti per i loro lavori da solisti: “Fletch (Andy Fletcher) mi ha detto di averlo apprezzato e tramite lui ho saputo che Martin adora questo nuovo album”.
Naturalmente il modo di comporre cambia, se stai lavorando a un progetto solista: “quando ho scritto le tre canzoni per i Depeche Mode, pensavo a come venivano dal vivo, a come gli altri le avrebbero suonate, come avrebbe funzionato l’amalgama per la band. Qui tutto questo è rimosso. E mentre i demos dei tre pezzi sono molto diversi dalle versioni finali, perché riarrangiate col gruppo, in quest’album non ci sono proprio demos, tutto è venuto fuori com’è sin dall’inizio, grazie alla collaborazione con Eigner e Phillpott”.
A vederlo sorridere e scambiare battute con i giornalisti, completamente e forse volutamente dimentico del suo ruolo di popstar stellare, vien fatto davvero di pensare che quest’uomo che ha rischiato di morire per overdose e ha più volte sfidato il proprio corpo con la droga e l’alcool, ha veramente trovato la sua pace. E quando gli si chiede del rapporto con la religione (sfiorato anche in una delle nuove canzoni, Miracles), risponde: “Credo che ci sia un significato più profondo della vita, che noi tutti tra l’altro cerchiamo spesso di evitare. Ma questo è quello che ho cercato di tirar fuori in tanti anni, e in modi molto diversi. E’ difficile per me ammettere che credo in Dio [in Miracles dice: “non credo in Gesù ma continuo a pregare”], ma in effetti è così: non credo nei miracoli ma intanto accadono ogni giorno. E la presenza di questo senso profondo la percepisco in molti modi: oggi soprattutto con i miei bambini, la famiglia, e le performances con i Depeche Mode. Credo poi che questo senso parli attraverso alcune persone, i cosiddetti profeti, Gesù, Martin Luther King, e a me poi parla attraverso la musica”.
Auguri allora Dave: il tuo volto e le parole che esprimono serenità sono il migliore regalo che si può fare a qualunque autentico fan dei Depeche Mode.
Autore: LucaMauro Assante _ Francesco Postiglione
www.davegahan.com