Ci sono voluti 25 anni perché i Radio Birdman dessero un seguito allo straordinario “Living Eyes”, l’album che nel 1981 sembrava aver posto la parola “fine” all’avventura artistica dell’eccezionale formazione australiana. Dal 1996, anno della reunion della band, molti avvenimenti si sono susseguiti nell’universo sonoro e personale del sestetto di Sydney: la pubblicazione del live-in-studio “Ritualism” (1997), il rinnovato interesse di critica e fans all’uscita dell’antologia “The Essential” (Sub Pop) e delle ristampe dei due fondamentali “Radios Appear” e “Living Eyes”.
E ancora: svariate trionfali tournée in madre patria, partecipazioni a festival in Europa, fino a un esteso tour nel Vecchio Continente (con due date anche in Italia) nel 2003. In questo tourbillon di eventi si sono registrati anche alcuni avvicendamenti nella line-up originale: il primo a gettare la spugna è stato il bassista Warwick Gilbert, sostituito da un’altra leggenda del rock australiano come Jim Dickson, già membro dei formidabili Barracudas e New Christs. Quindi è stata la volta del batterista Ron Keeley che, vivendo in Inghilterra, non poteva conciliare i propri impegni con quelli di una band tornata in pista a pieno regime dall’altra parte del pianeta. Dietro i tamburi per un periodo si è seduto Nik Rieth dei Celibate Rifles, prima del definitivo sostituto: Russell Hopkinson, proveniente dagli You Am I.
Con la formazione rinnovata, i Radio Birdman (Rob Younger, voce; Deniz Tek e Chris Masuak, chitarre; Pip Hoyle, tastiere; Jim Dickson, basso e Russell Hopkinson, batteria) sono entrati in studio per dare forma al loro terzo album in studio. Una grande attesa e altrettanti timori circondavano l’uscita di questo disco. Attesa inevitabile vista la caratura del gruppo, ma anche timori di rimanere delusi da una formazione che ha consegnato alla storia del rock due album imprescindibili e una manciata di canzoni immortali e che avrebbe anche potuto non ripetersi agli stessi livelli.
I Radio Birdman hanno invece dimostrato di essere invecchiati benissimo. “Zeno Beach” è il disco di una band matura, sotto il profilo umano e musicale. Certo non possiede gli anthem punk di “Radios Appear” (una “What Gives?”, una “New Race” o una “Murder City Nights”, tanto per intenderci), ma tredici canzoni dall’energia oscura e dal lirismo coinvolgente che crescono con gli ascolti, svelandosi un po’ alla volta. Proprio come un’oncia di buon tabacco o un bicchiere di bourbon ben invecchiato.
Sin dalle prime note dell’iniziale “We’ve Come So Far (To Be Here Today)” i Birdman mettono in chiaro di essere in gran forma, con un brano dall’incipit abrasivo che poi si apre verso soluzioni più complesse. Il primo grande episodio di “Zeno Beach” arriva immediatamente dopo: si intitola “You Just Make It Worse” ed è un pezzo urticante, tutto incentrato sul chitarrismo tagliente di Deniz Tek e sulla voce inconfondibile di Rob Younger. Ed è proprio la voce di Rob ad essere uno dei punti di forza dell’album, tanto che in diversi frangenti sembra quasi di trovarsi di fronte ad un nuovo lavoro dei suoi New Christs. Ad esempio in “Found Dead”, ma soprattutto nella splendida “Subterfuge”, un mid-tempo d’atmosfera, oscuro e misterioso, con una sezione ritmica tentacolare e un prezioso gioco di chitarre. Ma le vette musicali dell’album sono molteplici: dal trip psichedelico di “Heyday”, un vortice sonoro con tanto di chitarra spagnoleggiante, al sound corposo e avvolgente di “Connected” in cui la band esprime al massimo tutto il suo potenziale espressivo, sino all’eccezionale dinamismo di “If You Say Please” e “Locked Up”.
Le ultime due canzoni sono frutto dell’estro dell’imperturbabile Pip Hoyle. “The Brotherhood of Al Wazah” è un brano musicalmente ricco, con uno splendido arrangiamento di piano, mentre la title-track “Zeno Beach” chiude il disco nella migliore tradizione surf-rock’n’roll della band: un inno alla vita di due minuti e cinquantacinque secondi. Non potevamo attenderci ritorno migliore.
Autore: Roberto Calabrò
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