Next big thing. Ecco l’intestazione con cui si presentano i Cloud Nothing alla loro unica serata italiana.
La grande novità, l’ennesima grande novità tanto osannata anche dalla bibbia indie Pitchfork, ha l’aspetto di quattro ragazzi poco più che ventenni che sotto l’egida di sua maestà Steve Albini, sono passati direttamente dalle loro camerette in Ohio ai palchi di mezzo mondo per promuovere il loro ultimo lavoro “Attack on Memory”.
Al Locomotiv questa sera si respira aria da ultimi giorni di scuola, la stagione musicale al chiuso è agli sgoccioli e il pubblico non troppo numeroso, ma la curiosità di vedere dal vivo uno dei gruppi più chiacchierati degli ultimi mesi è tale da farci sfidare anche le temperature da sauna svedese che si respirano all’interno del locale.
Il tempo di una salvifica e fredda birra che sul palco vediamo spuntare il ciuffo e gli occhiali spessi di Dylan Baldi, deus ex-machina di tutto il progetto, che attacca immediatamente con “Stay Useless”, secondo singolo estratto dall’album e che richiama da vicino, forse fin troppo, quelle sonorità tanto care agli Strokes e a certo lo-fi anni ’90.
Il cantato di Baldi si poggia spesso su una voce sporca e volutamente rauca, che delle volte colpisce realmente per la sua particolarità, altre sembra eccessivamente forzata e abusata col rischio di rendere artificiosa tutta la resa live.
In successione ascoltiamo “Fall In”, leggero motivetto punk-college con chitarre tirate ma sostanzialmente innocue, proprio come la successiva “Cut You” che però ha un’impalcatura melodica sicuramente più accattivante e coraggiosa. Un’impennata improvvisa, alzando di molto il livello e la tensione, la regala “Wasted Days”, lunga suite che attraversa strati e generi, che accarezza il post-punk anni ’80, si lascia sedurre dal noise e post-rock dei ’90 e si esaurisce in un crescendo nichilista fatto di urla e disperazione, ma sempre controllata.
L’impressione è questa infatti, che in qualsiasi direzione la si guardi, questa rabbia generazionale sia in realtà qualcosa di decisamente pre-confezionato, come gli occhi perpetuamente chiusi del cantante, le sue pose che richiamano esplicitamente Julian Casablancas degli Strokes (gli somiglia pure!), l’ angoscia pret-a-porter in luogo di qualche sorriso che sarebbe sicuramente più gradito.
“No Sentiment” – forse la sintesi perfetta del sound di questi giovanissimi americani – è un post-punk ossessivo condito da chitarre acide e urticanti che ci riportano immediatamente alla lezione degli Slint e ci ricordano che dietro a questi ragazzi c’è sempre la mano di Steve Albini.
No Past/No Future, con la sua andatura tipicamente post-rock fatta di arpeggi insistenti e tormentati fino all’ esplosione finale affidata alle urla del bassista (sicuramente il più simpatico del gruppo), chiude il concerto e rende ininfluenti anche i successivi tre pezzi del bis che sono ripescati dai loro primi lavori, ma che non aggiungono null’altro
all’ esibizione di stasera.
In definitiva un’ora di buona musica, con qualche picco di ottimo livello che fa ben sperare anche per un prossimo secondo album e un pugno di canzoni che non spostano di un millimetro la storia del rock.
Autore: Alfonso Posillipo _ foto di Edoardo Gandini
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