Non si può parlare di “pubblico delle grandi occasioni” stasera al Cafe Oto, “avamposto” di East London per i suoni più sotterranei.
A scaldare i presenti ci prova un chitarrista/cantante francese, che non è nemmeno citato nel programma della serata. In ogni caso la sua breve performance, tutt’altro che indimenticabile, non mi spinge a informarmi ulteriormente sulla sua identità. Segue il duo Dead Days Beyond Help, ovvero Alex Ward (chitarra e voce) e Jem Doulton (batteria). Look da giovani ricercatori di fisica e ossessionati per la tecnica strumentale, propongono un miscuglio piuttosto indigesto di math-rock e avant-noise con mal-celate tentazioni metallare ed insospettabili aperture verso la forma-canzone, magari con qualche accenno blues (!?). Iper-energici e prolissi, sembrano in ogni caso essere apprezzati dal pubblico.
Arriva finalmente il turno di Zea ed il livello di spocchiosità intellettuale della serata si abbassa (finalmente) in maniera radicale. “Mi chiamo Arnold de Boer, che significa ‘Arnold il contadino’, e vengo da Amsterdam”, si presenta il biondo titolare di questa simpatica one-man band.
Arnold è attualmente il front-man dei grandissimi punk-rockers The Ex, in cui ha preso il posto del dimissionario Jos Kley (aka G.W. Sok), che ha lasciato il collettivo olandese un paio d’anni fa. Degli Ex nella sua musica ritroviamo lo spirito “sovversivo” e l’attitudine alla contaminazione con suoni apparentemente lontani, come quelli mediorientali e dei vari “sud del mondo” in generale (si ascolti “Song for Electricity”, per esempio).
Sono canzoni semplici ed efficaci, le sue, costruite su melodie essenziali, una manciata di accordi di chitarra in puro stile punk rock, campionamenti e loop elettronici grezzi, beat essenziali e spesso aggressivi e penetranti (che inevitabilmente riportano alla mente la lunga tradizione in ambito techno del suo Paese d’origine).
Irriverente, sarcastico (cercate la divertente “We burried indie rock years ago”) e talvolta capace di tirar fuori canzoni che ti ritrovi a canticchiare anche dopo il concerto (“We’ve got a crisis”), Arnold sarebbe stato probabilmente più a suo agio in un polveroso centro sociale, ma anche gli assidui lettori di “The Wire” che occupano i tavolini del Cafe Oto stasera sembrano apprezzare il suo sgangherato electro-rock’n’roll. Bel concerto.
Autore: Daniele Lama
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