Questa sera in sala:tre suona una delle band (meritatamente) più seguite di quello che ci si ostina a definire “scenario indipendente” italiano. Un’etichetta e poco più, forse, perchè i Nobraino sembrano essere gli outsider anche di questa schiera. Non che siano sottoposti a ferree leggi commerciali o di etichetta, assolutamente, ma la band ha la capacità di ritagliarsi una zona all’esterno di ogni forma di catalogazione, sia di genere che di mercato. Uno spettacolo a 360 gradi, fatto certamente di musica, ma soprattutto di cuore, di sudore e di urla.
Il quartetto (composto da Kruger, Fabbri, Bartok e dall’eccezionale Vix) ha offerto una scaletta decisamente corposa, più di una ventina di pezzi a cui si aggiungono i vari ed eventuali fuori programma, lasciando la gremita saletta a bocca aperta.
Lo spettacolo si apre con Partì per l’America dal leggendario Best Of del 2007, per passare poi al Grand Hotel dell’album (No Usa! No Uk!) che li ha consacrati alla fama, Narcisisti e poi una delle più attese e più cantate: La giacca di Ernesto. Il live della band è impossibile da ridurre a parole: Kruger canta quasi in solitaria, abbracciato ad un microfono provvisto di neon d’emergenza, scende tra il pubblico, si arrampica sugli amplificatori, rompe una bottiglia di birra per usarne il collo da “preamplificatore” per il microfono (ammesso che sia stato questo il motivo). Un frontman a briglia sciolta, capace di catalizzare l’intera attenzione della platea. Troppo romantica, Western bossa, L’Italiano, Bifolco, sono solo alcuni dei brani che accompagnano tutta la prima parte della serata.
Kruger scende dal palco, risale sul bancone del bar, si arrampica verso le luci e canta a qualche centimetro da queste, con una naturalezza impressionante, come se il suo vero palco fosse quello, tra la gente e gli addetti ai lavori. Si diverte, e anche tanto.
Giusto il tempo di una pausa e la serata si chiude con Fatti miei, Notaio scarabocchio e Spider Italiana.
Il gruppo di Riccione è riuscito quindi a stregare di nuovo, senza formalità e senza canovacci, ma a ruota libera, così come ci si aspetta da una band del genere. Unica nota forse un po’ dolente, l’assenza di Barbatosta alla tromba, che sarebbe riuscito sicuramente ad arricchire il sound del gruppo. Ma, con immenso piacere, ci rifaremo la prossima volta.
Autore: Alfredo Capuano
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