A Roma le serate organizzate dalla cricca del Keep it Yours sono belle e se le metti insieme costituiscono una specie di vademecum ideale per la musica alternativa di tendenza dell’anno in corso.
I fenomeni NME-Pitchfork, per intenderci, quelli che se non li ascolti, ma che cavolo di musica senti mentre prepari il tuo pranzo vegetariano?
Starai mica ancora a pensare ai Libertines o, peggio ancora, ai Kinks? Poi c’è la mia amica-che per questioni di privacy chiameremo Yulia- che per le suddette serate impazzisce e adora tutti i gruppi che ci suonano. Lei era oltremodo felice che KIY avesse portato Toro y moi a Roma, all’Init.
Che?
Toro y moi.
Come si legge?
Muà, tipo francese.
Ah.
E quindi, niente, andiamo.
Fuori all’Init c’è un sacco di gente che ne capisce di musica, giornalisti, speaker radiofonici, promoter delle celebri serate capitoline.
La parola della serata è: chillwave. Chillwave è un genere nuovo e vecchio, quello in cui si diletta Chazwick Bundick, voce e mente afrocinese dei Toro y moi: mette insieme una grande attenzione alla linea melodica vocale e le atmosfere ambient che fanno troppo oriente-ristorante giapponese-massaggio shiatzu. Questo genere dimostra che nella musica nessun accoppiamento è incestuoso o innaturale o inconcepibile. Un figlio sempre ci esce, pure quando pensi che sia impossibile. E questa cosa si riassume così:
Gatto+Anatroccolo = niente-Ambient+Shoegaze+Low-fi+Syntpop anni ’80 = Chillwave.
E’ un genere nuovo, a tratti postmoderno, che prende il vecchio e lo rielabora grazie alle nuove tecnologie laptop, loop, sampler e altre parolacce simili che ci riportano alla Silicon Valley.
Non è un semplice, nostalgico revival, anzi: durante il concerto si ha l’impressione di stare ascoltando qualcosa di creativo e fertile, con grandi potenzialità produttive per uno sviluppo futuro. La forza di Bundick è poi quella di non accomodarsi mai troppo sulla distorsione vocale, ma sfrutta a pieno le sue capacità di modulazione canora, regalando valore aggiunto al risultato finale, già di per sé molto interessante.
Il gruppo ha presentato, giustamente, i brani tratti dal loro primo e unico album, Causers of this, uscito lo scorso gennaio con Carpark records (la stessa dei Beach House e di molti altri artisti elettropop o elettroebasta, questo spiega molte cose sulla piega che gli stessi Toro y moi potrebbero prendere in futuro, ma è solo una mia supposizione, staremo a vedere).
Il fatto è che quando hanno finito di suonare, nessuno c’è rimasto troppo male che non siano tornati sul palco per un ultimo brano.
La verità a questo punto la dico in modo semplice e diretto: il concerto è stato interessante, ma come spesso accade per le cose interessanti (tipo certi convegni su Dante) è stato anche oltremodo noioso.
Il frontman di lato, dietro il tavolino del sampler, era immobile e sembrava Martin Luther King nelle più celebri immagini di I have a dream, mentre il bassista cercava di fare il chitarrista stando al centro, ma comunque amante anch’egli dell’immobilità.
I Toro y moi sono bravi ma non fanno nessun tipo di show. Il Chillwave è un genere che va ascoltato, ma facendo altro. Ma magari non è neanche colpa loro, forse è finita l’epoca del roccherroll spettacolare e ora ci tocca questo. Menomale che i vecchi dischi si possono riascoltare.
Istruzioni per ascolto di musica chillwave: mettete un disco dei Toro y moi, ascoltate le prime tre tacce poi lasciate scorrere fino alla fine. Nel frattempo selezionate dall’Ipod Up the bracket dei Libertines e sentitelo con le cuffie, mentre nella stanza le pareti ascoltano chillwave.
Autore: Olga Campofreda
www.myspace.com/toroymoi