Il viaggio da raccontare parte dall’autostrada e declina con il diradarsi dei lampioni, perdendo luce ad ogni chilometro fino al buio silenzioso dei monti.
Qualche cartello segna il passo ma non si vede anima. Agosto aspetta con pazienza che la serata inizi, tanto che quando compare il gruppo non si spera.
E’ l’una, e dopo un folto raggruppo di band indie – emergenti autoctone e straniere chiuso dai londinesi Ocio, arriva il tempo.
Di Bella entra sul palco, si avvicina all’asta col consueto rispetto e attacca “Luntano”. Che sia una serata particolare si avverte con cura. La notte ha il contorno a portata di mano. Majcasajusta riporta alle cadenze dell’indimenticato live al Teatro Nuovo, e la piazza diventa di legno e poltrone. Ormai la trama dei 24 Grana ha uno spessore così personale da prendersi il suo modo, ogni volta, con la riconoscibile prospettiva della propria voce. Ghostwriters ha chiesto tempo e si è lasciato guardare, liquido e curato, con la stessa dedizione del fare artigiano.
Le dolci malinconie non gridavano e questo ha preteso ascolti. Ma proprio ora le file di una scaletta non hanno urgenza necessaria. Per dire, il cuore melodico e antico porta pezzi come “Accireme” verso un altrove che non teme i passaggi, aria ripresa dai vecchi canti popolari, arrivata a farsi viva in sintonia come un brano d’altri tempi. Potrebbe scivolare da un grammofono o da una radio a transistor così come da un Ipod a diffusione impercettibile. Succede così per il sentore delle sbarre, presenti ovunque e ogni volta messe a grido di rivalsa e rivendicazione. Infatti “Carcere” tocca e scende fino al basso della storie che ripiglia, giù dai borghi e da i vasci di lenzuola e rraggia.
In ordine sparso suonano le angosce di “Lacreme” che cercano pace, “Sbaglio e’ parole”, “Smania ‘e cagnà”.
L’intimità di questo lavoro è in piena pancia, assimilato in pieno, mentre un senso di equilibrio sale dal fumo e attraversa il palco. Di Bella scioglie la maschera e si lascia circolare con un senso di pienezza, almeno sembra, dopo un viaggio doppio.
Tutto lascia presagire animazioni ulteriori dalle recentissime lezioni americane alla scuola di Chicago. Già ora filtrano racconti e resoconti di macchinazioni di caffè a grani e filosofie concrete.
Il quotidiano della serata propone altri classici. “Canto pe’ nun suffrì”, “Resto acciso”, “Kanzone doce”, “La costanza”, la tradizione del “Cardillo”, fino alla vibrazione di “Introdub”, con la voce scura lanciata come un richiamo.
I 24 Grana sanno di terra e umido dei vicoli, s’impregnano delle voci, tra i colori affaticati di un’alba di lavoro e la pace che arriva quasi sempre a luce spenta.
In mezzo aspettano tutti i dolori e i vuoti da riempire. Di Bella compare col pubblico a fine spettacolo, ha l’aria stanca. Avanza timido trotterellando, poi si apre e sorride per le foto. Un po’ come la storia del cielo nero e i colori per pittare.
Siamo qui, e non ci siamo, mai. Un guaglione si ferma tra la gente che sfolla. Parla con tutti e nessuno. “Ma per tornare a Napoli dove devo andare?”
Autore: Alfonso T. Guerritore
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