A chi non piacciono i tripli concerti? Quando ad ogni gruppo in cartellone si vede aggiunto un + e poi ancora un altro + si ha l’impressione che il prezzo del biglietto valga sempre il concerto; e in effetti per la quantità offerta nessuno può lamentarsi, ma certe volte è la qualità a far la differenza, e in certe occasione è quella che fa tornare i conti a galla.
Il 17 giugno il Circolo Degli Artisti era ancora luogo di eventi; e così il cartellone offriva Holidays+We have Band+Good Shoes; i famosi + erano tutti lì in bella vista, ma quello che tutti cercavano e volevano era la qualità.
Ma andiamo con ordine. Il primo gruppo a salire sono gli Holidays, italiani, romani; suonano electro indie, somigliano ai ben più noti inglesi Late Of The Pier. Intrattengono, fanno ballare e divertire e il pubblico apprezza. Il set è dinamico e veloce, promossi a pieni voti.
Poi è il turno dei We have Band, gruppo electro pop londinese; che dire? Su disco non mi avevano per nulla entusiasmata, forse per le sonorità troppo cupe che non li rendevano così orecchiabili, ma dal vivo invece, la qualità, ciò che conta, è salita a galla velocemente e già dal primo pezzo, me, come tutto il pubblico presente, era in preda a balli euforici tra il sudore che cominciava ad addensarsi come nebbiolina vaporosa.
La scaletta è intensa e senza una minima pausa. I brani dell’omonimo album del 2009, riempiono di frenesia il Circolo che sembra gradire qualsiasi cosa faccia la band,persino i balletti a dir poco bizzarri della frontwoman Dede W-P, perfetta nella parte di danzatrice-provocatrice delle folle. Alla fine del set il pubblico è in preda al delirio e pensate un po’ manca ancora il nome più grande in cartellone, i Good Shoes.
Dopo pochi minuti ecco salire sul palco la band di Morden, Inghilterra. Cosa dire riguardo al set dei Good Shoes? Ok era molto dinamico, reattivo, ma la famosa qualità? Ogni canzone era identica all’altra e l’esplosione con la quale iniziava si affievoliva pian piano. Il frontman anche se fortemente apprezzato dal pubblico non ha riscosso in me quell’approvazione; alcune volte era statico, vuoto. La scaletta era un intreccio di pezzi vecchi e nuovi, fabbricati in serie.
C’è” We Are Not The Same”, “Blue Eyes”, “The Way My Heart Beats”,ma nulla serve a farmi schiodare dal mio posto, dove a malincuore sono immobile, pietrificata di fronte all’anonimità di tale band. Peccato! I Good Shoes avrebbero del potenziale ma ciò che mi hanno ricordato è stata solamente una brutta e scadente copia dei ben più divertenti Art Brut. Ancora una chance? Chissà.
Autore: Melissa Velotti
www.myspace.com/wehaveband – www.myspace.com/goodshoes