Chissà cosa vorrà dire precisamente “art rock inglese”, e chissà perché proprio loro, giovane band che si è affermata infondo solo nel 2008, debbano essere etichettati così! La verità è che non sappiamo proprio più con che nome chiamare le cose.
Io so solo che: la presenza scenica del frontman, Jack Barnett, non era minimamente equiparabile alla performance e versatilità di Thomas Hein, bassista lanciatissimo verso sperimentazioni sonore (da notare l’eleganza e la soddisfazione con cui c’insegna che con le catene si può fare musica); che il fumo, le luci e le figure della band, insieme ai colpi sordi di grancassa, per un momento mi hanno portato in Transilvania; che il loro pessimo accento non ha di certo agevolato l’interazione già di per sé quasi nulla con il pubblico; che i live sono decisamente sempre e comunque un’altra cosa.
Il nuovo album, Hidden, mi ha lasciato sorprendentemente indifferente. L’ho trovato un’alternarsi quasi simmetrico di ritmi da requiem e rock assopito, lontano da quella sperimentazione sonora che tanto aveva colpito in Beat Pyramid. Il live è stato suggestivo. Certo non è la voce a farla da padrona, ma tra synth e batteria l’attenzione veniva completamente catturata, rendendola elemento coordinante, che insieme agli effetti alienanti delle luci strobo ti accompagna in loop di pensieri e suoni acuti.
Si confermano davvero belle, le uniche tracce a spiccare nell’album: “Fire-Power” e “We Want War”, che forse riecheggiano tracce più vivaci ed energiche come “Colour” e “Numerology” dell’album precedente, immancabili nello scontatissimo bis finale.
Autore: Serena Ferraiolo
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