Aprono la serata gli Stranamore, gruppo con tendenze rock-elettroniche e forti di una buona tecnica, formati da Nano (voce), Roberto Cuomo (chitarra), Vincenzo Strino (batteria), Enrico Troiano (synth) e Pedro (basso). Tengono bene il palco e sono senza dubbio da segnalare gli ottimi effetti di synth ed i vorticosi giri di basso che aggiungono ritmica alla linea delle percussioni. Buona prova vocale, limitata però da una scelta di testi che, purtroppo, lascia parecchio a desiderare. Nessuna novità e niente di particolarmente interessante sotto questo punto di vista, ma d’altronde la gente balla e si fa sentire, accogliendo ogni nuovo brano con una meritata valanga di applausi. Gli Stranamore, dunque, risultano complessivamente una buona band con molta strada ancora da percorrere, ma che se non ridotti ad un piccolo palco (tengono molto bene la scena) sono in grado di offrire uno spettacolo di alto livello.
Dopo aver cambiato gli strumenti, arriva il turno degli headliner: gli Elton Junk. Sin da subito si capisce che l’esibizione del gruppo toscano composto da Andrea Tabacco (voce e chitarra), Alessandro Pace (basso) e Giulio Pedani (batteria), rappresenta uno dei momenti più alti di questi sabato al Duel:Beat. Infatti convincono già dal primo brano per un sound molto originale povero di rimandi a qualcosa di già sentito. Peccato però per il dileguarsi improvviso dei presenti, probabilmente venuti appositamente per il primo gruppo, quando invece gli Elton Junk sarebbero da ascoltare per un giorno intero e risulterebbe comunque difficile annoiarsi. Il basso è strepitoso e colpisce allo stomaco, profondamente, come un martello pneumatico accordato in “la” e la tenuta del palco di tutti i componenti è qualcosa che si vede molto poco in giro: non riescono a star fermi per più di qualche istante ed anche il batterista sembra voglia continuamente abbandonare il suo sgabello per alzarsi e saltare. Colpisce, infatti, aldilà del modo di essere sul palco, il loro stile originale che li renderebbe riconoscibili in ogni contesto e differenti da chiunque altro, non solo in Italia. Cantano sia in italiano che in inglese offrendosi così ad ogni tipo di pubblico e colpisce in particolare, tra le altre, la canzone “che parla di quella bestia chiamata rock and roll” eseguita con una tale pulizia da sembrare registrata in studio. Una voce veramente accattivante ed una ritmica eccellente (in alcuni momenti Giulio Pedani suona il tom con le mani) si allinea al gioco di feedback a fine brano che riporta alla mente nostalgici momenti di Cobainiana memoria. All’uscita dal palco di tutti i componenti, resta da solo Andrea Tavacco che, rimettendosi il cappello, lanciato durante un momento di particolare impeto musicale, posa la chitarra e inizia a cantare su base un semi-recitativo.
Una pausa di un paio di minuti e la band riprende con “un pezzo contro il lavoro” di sonorità più dilatate ma che non stenta ad arrivare duro e possente come tutti gli altri. In sintesi gli Elton Junk, tra una semi-ballad e pezzi più rock, convincono completamente e resta solo la voglia di rivederli al più presto.
Autore: A. Alfredo Capuano
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