Uno show di pura adrenalina, ritmo e potenza senza pause: questo è stato lo spettacolo fornito dagli attesissimi Placebo al Palasharp di Milano, luogo a loro caro dove si esibirono per la prima volta in Italia nel 1996 come spalla di David Bowie, loro talent-scout.
La scaletta sembra tagliata su misura per la potenza fisica del nuovo batterista, Steve Forrest, che ce la mette tutta con la presenza corporale e la capacità di picchiare per far dimenticare l’ineguagliabile carisma di Steve Hewitt. Sembra quasi che i Placebo abbiano pensato lo show proprio per sdoganare il nuovo giovane batterista, cercando di non dare troppo dispiacere ai fan della prima ora. Affiancati da Bill Loyd alle tastiere e basso, Alex Lee alla chitarra e Fiona Brice alle tastiere e violino elettrico, Molko e Osdal lasciano sin da subito sfogare Forrest con i due singoli tratti dal nuovo album presentato in tour, For what it’s Worth e Ashtray Heart. Inizio bello ma non esplosivo, almeno fino a Battle for the Sun, che comincia a portare l’impatto sonoro a livelli devastanti. Una versione arrabbiata, elettrica ma meno intima e suggestiva di Sleeping with Ghosts, e poi un ritmo leggermente più dolce con Speak in Tongues e Follow the Cops back Home.
Poi di nuovo a picchiare come pazzi su un classico come Every Me Every You, Special Needs, e poi quasi la ferocia su Breathe Underwater, tiratissima e bellissima.
Osdal va a questo punto al piano, e sembra annunciarsi un momento “lounge”: ma Because I want You e Twenty Years iniziano lente per concludersi elettriche e arrabbiate, lasciando poi spazio a altri due pezzi nuovi eseguiti in maniera forsennata: Julien e Never Ending Why.
La parte fondamentale del concerto si conclude con Blind, più rumorosa e tosta dell’originale, Devil in the Details, una rinnovata (ma meno bella) Meds, e Songs to Say Goodbye.
Fin qui, un concerto al fulmicotone, ritmatissimo e di potenza micidiale, con poco spazio per la melodia e la dolcezza di cui pure i Placebo sanno essere capaci. Ampio spazio poi ai pezzi nuovi, quelli di Battle for the Sun e Meds soprattutto, con poca attenzione ai classici: che i Placebo ci stiano annunciando con la musica la svolta rappresentata dal nuovo batterista e dal nuovo sound?
Fatto sta che il bis, ovviamente, è tutto di pezzi vecchi, salvo Bright Lights, eseguita due volte più veloce: Special K è da far crollare il palazzetto, seguita da una Bitter End così distorta nel rumore da non distinguere più gli strumenti, e infine Infra-Red e Taste in men, lunga, micidiale, nevrotica.
La sensazione alla fine è di aver assistito a un concerto punk, anche se condito di elettronica (ma nemmeno poi tanta) e di maxischermi con proiezioni di immagini semi-psichedeliche a sostegno della trama musicale. Un glam-punk in effetti è stato definito a volte il Placebo Style, ma c’è da dire che di glam i Placebo hanno proprio poco (anche il look di Brian Molko era piuttosto sobrio, non certo così Osdal, sempre animale da palcoscenico) e che adesso quello che vogliono inseguire è la carica punk, fatta di batteria e di chitarre suonate fino a far sanguinare le mani.
A impressionare ci riescono senz’altro, ma a qualcuno potrà venire nostalgia della dolcezza di una Special Needs o una Black Eyed suonata come nell’originale, o del loro leggendario bootleg acustico. A quanto pare per rivedere questi Placebo dovremo aspettare un po’. Godiamoci il nuovo intanto.
Autore: Francesco Postiglione
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