“L’elettronica è da sfigati!” Me lo dice un tipo all’uscita del Circolo degli artisti dopo il concerto dei Fuck Buttons. Avrà avuto 22-23 anni, giacchettino di pelle nero, capello ingellatino (solo la frangia) e lucida labbra alla ciliegia, un feticcio Coin molto in voga nelle serate rock del Circolo. Bhè quella dei Fuck Buttons sicuramente non lo è stata. Il duo di Bristol spara onde a basso livello di sopportazione per gli abituali rockettari del club romano. Bright Tomorow dà il via all’ipnosi collettiva del 4/4: piedi ancorati al pavimento appiccicoso di Vodka, e testa su e giù. Il festival dell’alienazione. Tutti rigorosamente rivolti verso i due “fottuti” bottoni, che ne hanno parecchi da schiacciare sopra la loro tavolozza elettronica.
I pezzi passano ma il tempo e suoni dei brani non variano: ci sembra una ricerca frustrata dell’alternativo a tutti i costi. L’elettronica è un’arma a doppio taglio e a tratti i Fuck Buttons sembrano svenarsi nel tribalismo dei loro brani.
Quasi alla fine però, tirano fuori il guizzo che non ti aspetti: “Sweet Love For Placet Heart” è forte. Finalmente il synth traccia una linea arcaica che trasporta, invece del suono impastato dai loop martellanti e mai ben definiti proposti fino allora. E’ l’unico momento in cui si intravede una crepa celeste: paranoica si, ma non cacofonica come il resto della scaletta.
Ne hanno ancora molta di strada da fare. Consigliamo vivamente ai Fuck Buttons di ripassare in fretta la discografia completa dei Chemical Brothers, se vogliono continuare a fare album. Soprattutto se all’uscita dei concerti non vogliono sentirsi dire che sono degli “sfigati”.
Autore: Omar Barchetta Neviskij _ foto di Valeria Giampietro
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