Se c’è un live che gli amanti delle melodie nostalgiche e romanticheggianti non possono perdersi è quello di Scott Matthew. Immaginate un omone grande grosso e barbuto in continua interazione con il pubblico, tra il serio e il faceto, che dedica canzoni a chiunque sia “in love” e accompagni la sua voce profonda e a tratti mistica con l’ukulele. Scott Matthew è un incantesimo, è quel concerto che non vorresti mai far finire, che ti lascia gongolare in ballad minimali come “White Horse”, ballare sulla simpatica e pop “Thiste” per poi incantarti con voce e piano perfino sulla riuscitissima cover di “No Surprises”. E quest’omone grosso che incita all’amore presenta il so nuovo album, dal titolo più lungo della storia (There Is An Ocean That Divides/And With My Longing I Can Charge It/With A Voltage Thats So Violent/ To Cross It Could Mean Death) in netta contrapposizione con il primo, omonimo. Introducendo “Abandoned” tratto dal precedente e unico ulteriore album, non esita a sottolineare che quella sensazione ormai appartiene al passato. Forse da qui la scelta di non presentare altri pezzi “vecchi”, e sottolineare il proprio cambiamento di stile.
La magia dell’incantesimo scende sul pubblico romano ammutolendolo durante l’interpretazioni, e sembra surreale lo scroscio di applausi della sala al termine di ogni pezzo, da lasciare basito lo steso Scott, che ci prende la mano e si lancia in due bis pur avendo ormai esaurito il repertorio!
Autore: Serena Ferraiolo
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