L’happy side della scena indipendente americana è arrivato finalmente a Roma ed è riuscito a riempire l’INIT come da tempo non si vedeva. Allo S.H.O.D. Festival che si è tenuto qui circa un mese fa, nonostante la presenza di alcuni tra i più potenti gruppi psichedelici in giro come White Hills, Radio Moscow e The Heads, le persone presenti erano circa la metà. Evidentemente è forte l’hype che gira intorno a questo barbuto trio di freaks (perduto per strada Ryan Vanderhoof). Se questo è in qualche modo collegato all’ultimo album, ‘Set ‘em Wild, Set ‘em Free’, bellissimo per chi scrive, è difficile dirlo, poiché la natura bizzarra e sfuggente degli Akron Family è ora ancor di più esplicitata con dei veri excursus in generi abbastanza lontani da quell’indie-folk sotto il quale son stati messi fin dagli esordi. Se dal vivo infatti le atmosfere bucoliche generate dalle loro cristalline melodie acustiche perdono forza (loschi individui tra il pubblico chiedevano quando cominciassero a suonare davvero, poiché non avrebbero pagato 15 euro per invasati handclapping da quaccheri in pieno cerimoniale), sono proprio stati questi quadretti pastorali un po’ vecchio marchio di fabbrica periodo ‘Love is simple’ a caratterizzare la prima parte dello show. Le nuove aperture tanto attese sono state invece foriere di un noise rurale, come degli Oneida un pò mistici, più cazzoni, egualmente de-intellettualizzati e fuori dai trend, per dare un’idea di massima. Non si può vivere sempre e solo di Grateful Dead, Byrds e Beach Boys devono aver pensato i tre fricchettoni, ecco quindi una ‘Everyone is Guilty’ che inizia con un funky freddo alla Talkin’Heads, deraglia dalle parti dei King Crimson di ’21 century Schizoid Man’ e si schianta in vocalità (addirittura) Mars Volta. E tutti i brani della seconda parte sono un po’ delle jam acido/visionarie con tanto di urla belluine, con ‘inchiodate’ per rientrare di colpo nella cornice naturale di origine (vedi la celeberrima e celebrata ‘Ed is a Portal’). Gli Akron Family hanno il coraggio e la voglia di avventura dei gruppi psych-prog di canterburyana memoria, con quelle baraonde fiatistiche sempre ad un passo dalla vertigine ma con la capacità di saper essere anche soavi. Canti da setta religiosa di provincia americana e nostalgie tribal-indiane (alla fine sempre di folk si tratta) ne avremo probabilmente sempre da questa mini-comune, ma quando si lasciano davvero andare ed il folk si destruttura, si scardina e si psichedelicizza allora soffro un un pò meno per la mancanza di quei geniacci dimenticati dei Camper Van Beethoven. Se capitano dalle vostre parti andate a sentire gli Akron Family: alla peggio tornerete a casa un pò più hippie.
Autore: A.Giulio Magliulo
www.akronfamily.com/